Gianfranco Chicca
Sul costo dei taxi in Italia – e in special modo nelle due metropoli, Roma e Milano – molto si è scritto, ma senza ottenere alcunché. E il problema resta, nella consapevolezza che ci sono servizi – come le auto pubbliche – e luoghi che sono un po’ il «biglietto da visita» del Paese, nel bene e nel male. In questa chiave è indiscutibile che Milano detenga un vero e proprio primato, almeno per quanto riguarda la corsa dall’aeroporto principale – Malpensa – alla città: 85 euro (95 Malpensa-Linate). Per fare un confronto , il passaggio in taxi dall’aeroporto newyorkese «JFK» a Time Square, nel centro della Grande Mela, costa circa 45 dollari, ovvero 31 euro. E resta il fatto che, stando a vari studi commissionati dalle associazioni dei consumatori, le nostre tariffe taxi si confermano tra le più alte nel Vecchio Continente, a fronte di un servizio non sempre soddisfacente in termini di tempi di attesa, puntualità, confort, gentilezza ecc. I taxisti corretti e per bene sono tanti, tantissimi. Ma le mele marce purtroppo non mancano. E chi dovrebbe vigilare e intervenire – penso a certe arcinote situazioni alla Stazione Termini di Roma – rinuncia inspiegabilmente a farlo. Un doppio danno per molti sbalorditi cittadini e, in modo ancora più grave, per tanti ignari (e un po’ sprovveduti) turisti.Ciò premesso, è evidente che la sua lettera solleva il problema più generale dell’«affidabilità» del – chiamiamolo così – «prodotto Italia», su cui si giocano concretamente il ruolo, il prestigio e la competitività internazionali dello Stivale. Anche qui, naturalmente, le generalizzazioni sono vietate. Perché questo, checché se ne dica, non è un Paese di furbi: grandissima parte di noi italiani si spende con onestà e retta coscienza, facendo il proprio dovere. Però, questo, è indubbiamente anche il Paese machiavellico del «particolare», dove corporazioni e clientele contano molto, e dove i «furbi» continuano troppo spesso ad avere vita facile, grazie alla farraginosità delle leggi e a un’impunità che nulla ha a che vedere con il garantismo vero, e con la tutela del bene comune. Ragioni che sottolineano l’urgenza di quella svolta «incredibile» eppure necessaria nella capacità riformatrice e regolatrice della politica, che ho richiamato nella risposta al lettore Bagnai, pubblicata in questa stessa pagina domenica 10 gennaio.
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