C’era una volta un Paese più paterno e più materno. Come ci ha ricordato Luciano Moia su 'Avvenire' dell’11 gennaio 2019, l’Italia è stata una casa accogliente per migliaia di bambini giunti tra noi attraverso l’adozione internazionale, in una misura tra le più significative al mondo, seconda solo agli Stati Uniti. I piccoli divenuti nostri concittadini con l’adozione erano più di 3mila nel 2011. Ma oggi non è più così. La disponibilità delle famiglie adottanti è diminuita, come pure le cifre relative ai procedimenti posti in essere.
E nel 2018 solo 1.364 minori (un calo di oltre il 50% rispetto a sette anni prima) sono giunti nelle nostre città dagli istituti e dagli orfanotrofi all’estero. Molte le motivazioni addotte a spiegare questa contrazione. In una trasmissione di Radio 3 Rai, 'Tutta la città ne parla', qualche giorno fa, alcuni degli intervistati e molti ascoltatori insistevano sui costi economici di un’adozione internazionale, sulle lunghezze procedurali. Certo è però che il fenomeno non riguarda solo l’Italia, ma tutto l’Occidente, con cali percentuali persino superiori a quelli della Penisola. Pesa la progressiva chiusura di molti Paesi extraeuropei alla pratica dell’adozione, come pure il crescente ricorso alla fecondazione assistita.
Ma pesa forse ancor di più – come si coglieva dalle telefonate alla trasmissione di cui sopra – la consapevolezza di operare una scelta controcorrente rispetto agli umori del momento, ovvero il timore delle difficoltà che un minore dai tratti somatici o dal colore della pelle diversi da quelli predominanti potrebbe incontrare in futuro. In un tempo di 'muri' si pensa sempre più spesso che l’integrazione sia ardua se non impossibile e, di conseguenza, anche l’adozione appare un’esperienza troppo difficile e complicata. Il suo calo allora non è da registrare soltanto come un fatto di cronaca o di costume.
È la spia di una temperie più vasta, di un’onda che sta investendo l’intera società. La crisi è culturale, legata alle stesse motivazioni del calo della natalità, alle dinamiche di una vita più individuale, alla propensione a guardare 'a casa nostra', senza affacciarsi su quegli orizzonti larghi che ogni adozione comporta. Perché adottare è aprirsi, e aprire. È fare rete unendo bisogni e prospettive diverse – un sogno di genitorialità e, insieme, la fame di affetto di tanti bambini soli –, ma coniugabili in una visione comune. I percorsi e le storie di un’adozione internazionale differiscono fra loro, ma al tempo stesso si assomigliano, perché sono accomunati dall’essere una grande avventura, di vita, di mondo, di umanità.
Come tanti tasselli di un’estroversione più vasta, che può essere di indirizzo per tutto il paese. L’adozione internazionale è stata – ma è ancora – un grande contributo alla scoperta dell’Altro, alla nostra e all’altrui crescita, resilienza, stabilità. Pur in un tempo in cui 'creare dei legami' è cosa molto trascurata. La vita – è esperienza comune – diviene più individuale, le trame connettive si sfilacciano, gli scenari prospettati sono più 'singolari'. Lo spirito del tempo è che ci si salva da soli, che stare tra noi non è poi così male. E però da soli non ci si salva, e soltanto 'tra noi' si è più fragili. Vivere senza legami non è facile alla fin fine. Brexit – tanto per dirne una – insegna. È stato scritto qualche anno fa da Marilena Piazzoni, nel libro 'Figli si diventa' (Leonardo Mondadori, 2006): 'Il valore dell’adozione internazionale non riguarda solo la famiglia adottiva.
L’adozione rappresenta un segno per il futuro della società nel suo complesso. Sembra un piccolo segno, che appartiene solo alla sfera privata dei singoli e delle loro scelte individuali. In realtà il suo significato va oltre, nella direzione della costruzione di una società più accogliente, e quindi migliore per tutti'. È vero. Va riaffermato tutto questo, anche nel nostro presente. E la speranza è che la diminuzione delle adozioni, frutto di un clima più trattenuto e timoroso, sia solo un inciampo contingente della storia. L’augurio è che torni il tempo dei legami, questa avventura 'da molto dimenticata', che si senta di nuovo l’esigenza di adottare ed essere adottati, in un mondo tanto vasto quanto impossibile da vivere senza connessioni.