giovedì 23 maggio 2013
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Caro direttore,il 9 e 10 giugno si svolgeranno in Sicilia le elezioni amministrative: saranno rinnovati i Consigli comunali e di quartiere. Faremo a meno di votare per le Province, recentemente abolite dalla Giunta Crocetta. Intanto il clima elettorale è sempre più rovente. Quest’anno, tra l’altro, sembra sia scoppiata una vera è propria epidemia, che si manifesta con un "febbrone" da candidatura. Anche nella "mia" Messina, accanto ai volti conosciuti, tantissime facce nuove, ma alcuni dei candidati, oltre a non possedere alcuna "infarinatura" politica, detengono a stento la licenza media come titolo di studio. Insomma contro la crisi dell’occupazione, sembra che i messinesi hanno pensato bene di intraprendere in massa la carriera politica. Mi domando se non sia il caso di porre un limite a questa grandinata di candidature. Una possibilità per scremare la rosa dei candidati, sarebbe quella di istituire una sorta di "patente politica", che attraverso degli esami fornisca l’idoneità culturale per intraprendere la carriera politica a qualunque livello. La politica non dovrebbe divenire un’alternativa alla disoccupazione. Penso proprio che davanti a una crisi economica di tale portata, torni prepotentemente alla ribalta "l’arte di arrangiarsi".Fabrizio Vinci, MessinaLe elezioni, caro signor Vinci, sono un "concorso" al quale per accedere basta, in sostanza, essere onesti cittadini (o, almeno, cittadini non esclusi dai pubblici uffici) e avere l’età prevista dalla legge. Di questo "concorso" sono e devono continuare (o tornare) a essere "giudici" – non mi stancherò mai di ripeterlo – solo gli altri cittadini. Questa è la democrazia. E la democrazia per essere piena ha necessità di regole elettorali utili e sagge, che riconoscano, appunto, la libertà, la dignità e il potere di scelta dei cittadini, li servano e non li esproprino in alcun modo. Detto questo, e pur capendo la sua preoccupazione, le dico con franchezza che mi sembrerebbe del tutto fuori luogo pretendere formalmente ulteriori requisiti o attestati, oltre a quelli essenziali che ho appena richiamato, per concedere a chicchessia l’«elettorato passivo», cioè la possibilità di essere eletti. Di fronte a certi spettacoli e ad alcune inadeguatezze che segnano in modo amaro e deludente il panorama politico nel nostro Paese, ammetto di considerare anch’io tutto sommato suggestiva la sua idea di rispolverare la visione antica, e con radici anche nobili, secondo la quale solo certi "ottimati" (o presunti tali) abbiano titolo culturale per "pensare" e "agire" nell’amministrazione della polis, dello Stato. Ma è un’idea nella quale si finisce per confondere inevitabilmente ansia di rigore, di pulizia e di adeguatezza della politica con concezioni rischiosamente elitarie dell’esercizio del potere pubblico. Meglio, insomma, lasciar perdere la storia delle "patenti" preventive… La penso invece proprio come lei sull’altra questione sollevata: chi guarda alla politica come a un modo per "sistemarsi", è meglio che non ci provi nemmeno. Ma che più di qualcuno ci pensi, dimostra anche sino a che punto abbiamo fatto brutta l’immagine di tale «altissima forma di carità», cioè di disinteressato servizio alla comunità di cui siamo parte. Questo è il grande guaio al quale bisogna assolutamente porre rimedio. E io continuo a ritenere che una parte assai importante della risposta spetta ai cattolici impegnati.
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