Le élite tecnocratiche del nostro Paese, quelle che senz’altro hanno le competenze migliori e la conoscenza più approfondita dei meccanismi economici e sociali, sono turbate e costantemente sorprese e spiazzate dai risultati elettorali che si susseguono. L’area del non-voto continua a crescere e in molte democrazie europee sta diventando sempre di più il maggior partito. Lo scontento, la polemica, l’indignazione e persino la rabbia di tanti elettori si esprime, contemporaneamente, in voti di protesta verso movimenti a torto o a ragione bollati come 'populisti'. Dopo una breve tregua, nella fase iniziale della pandemia, con un ritorno di rispetto e di attenzione per gli 'esperti', i problemi di fondo del sistema vanno riemergendo. È quasi inevitabile che ogni ceto sociale tenda a vivere la propria vita circondato da persone che hanno le stesse idee e lo stesso tenore di vita (praticamente il contrario di quello che dice spesso papa Francesco, quando sottolinea che dobbiamo imparare a vedere il mondo con lo sguardo degli 'ultimi').
Eppure basterebbe pochissimo per mettersi nei panni degli altri perché anche all’interno delle stesse grandi città le diseguaglianze crescenti sono visibili nei quartieri e nei territori e basta fare un giro per le periferie per capire quanta parte del Paese si senta tagliata fuori, messa ai margini e guardi con preoccupazione il susseguirsi di choc e di crisi che rendono il nostro futuro sempre più incerto. Quello che le élite, che hanno in mano le competenze per affrontare e gestire molti dei problemi che abbiamo di fronte, dovrebbero comprendere in fretta è che solo mettendo i cittadini al centro del progetto, facendoli sentire protagonisti possono evitare derive antisistema.
In termini concreti, è sempre più urgente attivare processi sani di partecipazione e di cittadinanza attiva (parole nuove che incarnano concetti di lunga tradizione in Italia come popolarismo e sussidiarietà) che offrano opportunità di generatività e ricchezza di senso del vivere. Il nostro sistema politico ed elettorale rende oggi questo molto più facile a livello comunale piuttosto che nazionale. La legge elettorale per le amministrative facilita turnover e governabilità e la relazione tra sindaco e cittadini è più prossima e diretta. Tutto questo premia la buona amministrazione. Il livello nazionale è, invece, lontano e complesso, i rapporti con i cittadini più faticosi e la giungla della comunicazione rende tutto più confuso e meno trasparente.
Eppure i meccanismi per creare percorsi di cittadinanza attiva e dare risposta alle ansie dei cittadini esistono e vanno attivati urgentemente. Ne hanno bisogno quegli stessi enti intermedi e quelle associazioni che sono uniformemente riconosciuti come ecosistema-argine contro le derive populiste, ma non possono vivere di rendita indefinitamente se non si ravvivano le forme di rappresentanza.
Per esempio, la democrazia partecipata nel campo dell’energia si chiama 'comunità energetica', un modo di autoprodurre e consumare energia diffuso e, appunto, partecipato che non solo paga in termini di salute, clima, convenienza di prezzo e indipendenza energetica ma è anche l’unica risposta possibile a un progressivo congestionamento delle reti elettriche che abbiamo già sperimentato nei giorni scorsi con i sempre più frequenti blackout da sovraccarico nelle principali città italiane. La democrazia partecipata nel campo del welfare si chiama 'coprogettazione e coprogrammazione', ovvero costruzione da parte delle amministrazioni assieme ai cittadini dei nuovi servizi della cura partendo da bisogni e domande di chi vive il problema.
La democrazia partecipata nel mercato si chiama 'risparmio e consumo responsabile' (ormai sollecitati anche dal governo in termini di sobrietà, ad esempio nell’uso dei condizionatori) che oggi arrivano alle forme evolute del prosumerismo dove i cittadini creano i loro prodotti d’accordo con i produttori. Persino le Banche centrali possono far sentire ai cittadini la loro vicinanza aprendo, con l’innovazione delle valute digitali in corso di studio conti correnti direttamente presso i cittadini. Contrariamente alla dichiarazione, poi infatti rettificata, della presidente della Bce Christine Lagarde, per combattere l’inflazione – su queste colonne con il collega economista Cozzi ho contribuito a delineare un percorso utile – non è affatto necessario sacrificare la politica di acquisto dei titoli pubblici dei Paesi Ue che è stata fondamentale per affrontare momenti così difficili come quelli che abbiamo vissuto. All’orizzonte non c’è purtroppo nulla di buono. Della guerra e persino della pandemia non vediamo ancora la parola fine. E la situazione ambientale non può che continuare a peggiorare se non cambiamo marcia.
Una società sana è quella dove i cittadini non si domandano cosa possa fare lo Stato per loro, ma cosa possano fare loro per le proprie famiglie e per la propria comunità. E tanto più avendo a disposizione realtà associative vive, canali e meccanismi attraverso i quali questo secondo movimento sia possibile. La letteratura nelle scienze sociali sottolinea come partecipazione e consenso siano strettamente legati. I tempi stringono e solo attivando e rafforzando questo circolo virtuoso sarà possibile dare un futuro alla nostra democrazia e alla nostra civiltà. Le forze politiche che hanno a cuore il futuro comune farebbero bene a capirlo alleandosi e facendo proprie le nuove forme di cittadinanza attiva invece di proporre vecchie ricette se vogliono avere e darci un futuro.