mercoledì 13 agosto 2014
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L’unico a non averlo compreso è lui. O forse lo ha compreso, ma non vuole accettare di perdere un potere che ha usato per anni nel modo peggiore e a cui è disperatamente aggrappato. Ma è ormai evidente che il primo ministro uscente Nuri al-Maliki è parte del problema che sta distruggendo l’Iraq e non può più essere parte della soluzione. Sono passati mesi dalle elezioni politiche che hanno rinnovato il Parlamento di Baghdad e ancora la formazione di un nuovo governo appare lontana: mesi sprecati in accuse e controaccuse di brogli e manovre di palazzo, mentre le relazioni fra arabo-sciiti e arabo-sunniti peggioravano e i terroristi di Isis allargavano il loro regno del terrore nel centro-nord. Dinanzi al disastro incombente, l’Alleanza nazionale - una coalizione di numerosi partiti sciiti - ha rotto gli indugi, chiedendo al presidente della Repubblica,il curdo Fuad Masum, di nominare quale primo ministro incaricato il vice-presidente del Parlamento, lo sciita moderato Haider al-Abadi, forzando così al-Maliki a quel passo indietro che da tempo molti chiedevano. Una richiesta accettata di buon grado da Masum, ma che è stata denunciata come illegale da al-Maliki. L’intricata Costituzione irachena indica nel capo del partito più votato alle elezioni il primo ministro incaricato. Sembra semplice ma non lo è, vista la frammentazione politica del Paese. Il partito di al-Maliki ha preso sì più seggi, ma molti meno di Alleanza nazionale, che somma molti piccoli partiti. Una discussione che sarebbe da lasciare ai giuristi, se i miliziani jihadisti non fossero alle porte e se non si assistesse al genocidio di intere minoranze.La verità è che al-Maliki è stato un pessimo capo del governo: al potere per anni ha ripetuto ossessivamente di volere dare sicurezza a tutti gli iracheni e di voler ricompattare l’Iraq superando il settarismo. Ha di fatto lavorato per il contrario, esasperando il settarismo, spingendo nuovamente la minoranza sunnita fra le braccia dell’estremismo con una politica punitiva e con violenze personali. Sospettoso al limite della paranoia, si è alienato il sostegno del clero sciita: il grande ayatollah al-Sistani lo disprezza, e non ne fa mistero. E pochi amici rimangono ad al-Maliki anche all’estero. Odiato dalle monarchie arabe del Golfo, ha esasperato gli americani e gli occidentali. Anche Teheran ha ieri pubblicamente sostenuto al-Abadi.Fine quindi del decennale suo "regno"? Difficile che l’uomo se ne vada senza combattere, forte di una rete clientelare potentissima e di legami personali con molti capi militari. In queste ore vi sono movimenti di truppe sospette a Baghdad, e qualcuno vocifera di un possibile colpo di mano del primo ministro uscente. Senza il sostegno iraniano e con gli americani di nuovo attivi nel Paese, sarebbe probabilmente il suo ultimo azzardo. Una mossa che rischia, in ogni caso, di essere il colpo di mano mortale per un Iraq che ha invece bisogno di una figura capace di riavvicinare curdi e sunniti al governo centrale e di infondere nuova fiducia a delle forze armate umiliate e demoralizzate dalle sconfitte di questi mesi. Al-Abadi, che gode di una stima trasversale e ha studiato in Occidente, potrebbe essere la scelta giusta. Questa ennesima lacerazione nel corrotto e frammentato sistema di potere iracheno non deve tuttavia offrire un pretesto alla comunità internazionale per girarsi nuovamente dall’altra parte o per venir meno alle promesse fatte in questi giorni di intervenire contro la follia criminale di Isis e del jihadismo. Perché, quali che siano gli errori compiuti in questi anni dal governo centrale di Baghdad, è un fatto che lo sterminio in atto contro cristiani, yazidi e altre minoranze vede anche le responsabilità di un Occidente non solo distratto, ma che ha ambiguamente lasciato che questi movimenti crescessero in Siria e ha concesso ai propri alleati sauditi di finanziare e armare gruppi sunniti estremisti poi confluiti nel jihadismo. È ora invece di dimostrare con le parole e i fatti che la misura è colma e che contro la barbarie vi sarà una reazione univoca e determinata.
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