Capita a volte, specie negli ultimi anni, che l’ascesa impetuosamente rapida di un leader politico-istituzionale porti a sviluppare una certa ipertrofia dell’io che poi diventa fra le cause di una altrettanto perentoria battuta d’arresto. Per Giorgia Meloni potrebbe essere arrivato questo momento con la sconfitta di Paolo Truzzu ribattezzato “Trux” (per via di un suo tatuaggio) alle elezioni in Sardegna, anche se è presto per dire che è cambiato il vento, come legittimamente dicono le opposizioni. La sconfitta infatti – ecco il rovescio della medaglia – potrebbe anche divenire salutare se la presidente del Consiglio, da politica di esperienza quale rimane, saprà meditare sull’accaduto con umiltà e consapevolezza, superando gli scossoni nella maggioranza al governo del Paese e ricostruendo, anzi, migliori relazioni con i suoi alleati di coalizione.
Dicevamo che non è la prima volta che capita nei tempi recenti: l’abbiamo visto soprattutto con Matteo Renzi e la sin troppo nota sovraesposizione sulla sua riforma costituzionale (poi bocciata al referendum). E si è ripetuto in fondo con un non politico quale Mario Draghi, nella convinzione di poter salire al Quirinale anche al di là del volere dei partiti (ed è finita coi partiti in processione da Mattarella per implorarlo del bis).
Per la leader di Fratelli d’Italia, ormai adusa ai palcoscenici internazionali, che, peraltro, maneggia (le va riconosciuto) con piglio superiore alle attese iniziali, questo processo in cui si perde anche un po’ il contatto con la realtà è maturato nel tempo, lungo questi 16 mesi al governo. Ma ha trovato l’acme nel comizio tenuto a Cagliari mercoledì scorso, assieme agli altri leader di centrodestra. Per chi se lo fosse perso, vale la pena di andarlo a recuperare sui social: vedere il capo del governo (al di là degli eventuali motivi di ragione sui temi trattati) sciorinare un repertorio di battute, irrisioni degli avversari, moine e altro ancora (quasi una replica all’ennesima potenza di alcuni poco istituzionali interventi recenti in Parlamento), cornice più di uno spettacolo che di un discorso di una carica dello Stato aveva già fatto storcere la bocca e dato da pensare a molti. Dato da pensare, appunto, che al primo piano di Palazzo Chigi stesse maturando un eccesso di onnipotenza, invincibilità e presunzione di forza e di sicurezza (dimostrata anche dall’evidente fastidio per le parole di Mattarella sugli studenti manganellati), tutti aspetti che poi portano a commettere errori. E che fanno, inevitabilmente, tornare a galla quegli aggettivi (“Supponente”, ecc.) su di lei annotati da Silvio Berlusconi nell’ottobre del 2022, quando si trattava di eleggere il presidente del Senato.
Senza dubbio le cause della sconfitta a queste elezioni sarde sono anche altre, più profonde e legate alla gestione del territorio e alle attese evidentemente non soddisfatte dal centrodestra negli ultimi 5 anni. E nulla è perduto per Giorgia Meloni, dicevamo. Che, peraltro, ha il vantaggio di avere fra meno di due settimane una pronta occasione di riscatto con le elezioni in Abruzzo, dove il meloniano Marco Marsilio è dato stavolta (a differenza della Sardegna dell’ultimo mese, quando i sondaggi avevano cominciato a ribaltare le previsioni di partenza) netto favorito. È certo, però, che le urne sarde devono indurla a riflettere sul senso pieno di una coalizione e sul fin dove possa spingersi la leader del partito più forte in uno schieramento.
Quello che Meloni non ha fatto in questa occasione, decidendo d’imporre a tutti i costi Truzzu che mai è stato percepito come il candidato somma delle istanze di tutti e tre gli alleati; e per di più presentato come un sindaco che aveva ottimamente governato quella Cagliari che invece per prima gli ha voltato le spalle. Forse alla ricerca, la premier, del riconoscimento di una leadership che non avverte così netta come auspicherebbe e in ogni caso dimentica del fatto che il consenso si pesa, non si conta soltanto, parafrasando Enrico Cuccia. Si è rivelata un’imposizione ancor più maldestra perché voluta in una regione dove lo spirito autonomista è molto sentito ed era coalizzato attorno al presidente uscente, Solinas, difatti sostenuto fino all’ultimo anche dal Partito sardo d’Azione oltre che dalla Lega. Questo spirito avrebbe richiesto un supplemento di attenzione da parte della premier, portandola a soppesare meglio le voci degli altri, anche tenendo conto che già alle politiche 2022 il centrosinistra era andato in controtendenza nazionale imponendosi nell'isola. Va ricordato, peraltro, che già in passato Giorgia Meloni non ha avuto la mano felice su elezioni locali: storico è il caso delle Comunali di Roma nel 2021, quando una vittoria data per molto probabile al centrodestra fu dilapidata con la scelta (anche lì da lei voluta e imposta senza sentir ragioni) di un candidato Carneade, Michetti, meglio noto come opinionista di una radio romana.
Certo non è l’unica, Meloni, a dover ragionare nel centrodestra sugli errori fatti. Tocca anche a Salvini che, al di là delle discussioni sul “fuoco amico” contro Truzzu, si ritrova con un partito marginalizzato. Ma lo schiaffo più forte resta per la premier. Ora, fra una nuova visita alla Casa Bianca da Joe Biden e un prossimo vertice dei leader mondiali, Meloni avrà tempo e modo di riflettere su tutto ciò e di calibrare meglio toni e argomentazioni delle sue prossime battaglie. Come nello sport, le sconfitte possono essere anche le fondamenta per un nuovo ciclo. Tutto sta a metabolizzarle nel modo corretto e a ritrovare le giuste motivazioni.