L’artista, occhi di sentinella, a guardar attentamente scorge proprio il paradosso della sua notte oscura: la luna tradisce la luce che la illumina di riflesso diventando la fonte stessa: il sole. Il sole che la cultura romana celebrava proprio a fine dicembre, quando la luce tornava a prevalere sulle tenebre. Ma il sole questa volta non è un irraggiungibile e immaginario Apollo che vince sul dio della Notte, ma è il bambino-Dio in carne e ossa che nel notturno lunare sorge come Sole silenzioso, di rimbalzo su una più umana e silenziosa luna. Nessuno si accorge che la notte cosmica è finita, se non qualche pastore e qualche vero conoscitore di stelle, comete e pianeti, venuto da lontano. Bisogna avere occhi-sentinella per scorgere ciò che sta per accadere. La luna lo segnala con il suo color giallo-grano. Il Sole che sorge velato, senza abbagliare, infatti ha non solo il colore ma anche la consistenza del grano. È morbido e fragile come un bambino in fasce. La sua fragilità però non è debolezza, ma la forza irriconoscibile per qualsiasi immaginazione di uomo che ipotizza il divino. Il popolo in cui nasce è dominato da potenti nella cui cultura "fragile" viene da "frangere", spezzare, e "fragile" è "ciò che si spezza". Per questo il Sole notturno ha lo stesso colore del grano e la sua fragilità, perché, ora che Dio ha la consistenza degli uomini-farina, può essere avvicinato, toccato, preso, strattonato, carezzato, spezzato, proprio come si fa con il pane. Un pane fragile perché frangibile, la cui fragilità è la sua forza: è fragile all’infinito, perché è l’infinito reso frangibile. Può raggiungere tutti coloro che si volgeranno al richiamo della sentinella che ha scorto che il dolore tramonta, le tenebre cessano, la festa comincia. Nel silenzio della notte illuminata quasi a giorno dalla luna, il bambino Dio cresce nel grembo della madre-lievito per essere dato alla storia che non lo riconoscerà proprio per quella inimmaginabile fragilità di pane che si spezza, di Dio troppo uomo per essere vero. Un Dio troppo buono per essere mangiato (quando lo dirà in molti lo abbandoneranno, ieri come oggi), il Dio fragile, il Dio pane che sarà incollato a ciascuno, come solo il cibo può essere, tutti i santi giorni fino alla fine del mondo, proprio quando ci sentiremo più fragili, proprio quando saremo noi quelli spezzati, senza possibilità di ricucirci da soli. Solo lui spezzandosi unisce, essendo fragile rinforza e nutre. Noi non possiamo, come scriveva biblicamente Van Gogh, occhi-sentinella, al fratello: «Cos’altro si può fare, pensando a tutte le cose la cui ragione non si comprende, se non perdere lo sguardo sui campi di grano. La loro storia è la nostra, perché noi, che viviamo di pane, non siamo forse grano in larga parte? Se non altro, dobbiamo o no sottostare a crescere, senza poterci muovere, come una pianta, ignorando ciò che la nostra immaginazione a volte desidera, ed essere falciati quando maturi? Per quanto mi riguarda mi ci abituerò ad essere spezzato». Il pittore decretò la sua fine dipingendo un campo di grano, non c’era più la luna-sole a segnare la ri-creazione di tutto il Paesaggio di Dio, ma solo un cielo tenebra da cui uscivano corvi di disperazione. Si spezzò. I corvi divorano il grano, se si oscura il Sole che sorge in forma di Pane, l’unico che può spezzarsi senza morirne. Noi uomini fragili, fatti per l’Onnipotente fragilità, senza rimaniamo irrimediabilmente disgregati. L’Avvento ci rende sentinelle in attesa di sfamare la nostra e altrui fragilità dell’unica fragilità che sfama e unisce. Possiamo permetterci il lusso di essere ogni giorno fragili, spezzati, stanchi, se veniamo ogni giorno panificati nel Natale eucaristico.
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