Non stupisce che si sia utilizzato un cartello per propagare la caccia all’untore. A Rozzano ne è apparso uno su un portone: «Attenzione, ci sono positivi nel condominio. Massima cau-tela!!! ». E non stupisce neppure lo sdegno sui social. Il merito (o meglio) la colpa è proprio di questo strumento ultimamente così poco considerato, ma così potente: il cartello. I cartelli ci accompagnano tutta la vita: di più, siglano gli avvii e certificano autenticità. Hanno perfino il potere di ridisegnare gli ambienti. Il cartello inglobato nella coccarda funebre appeso all’ingresso di un’abitazione cambia la fisionomia dell’edificio, si carica del concetto che porta e dipinge l’ambiente circostante di silenzio, mestizia.
Esattamente come la coccarda che segnala la nascita di un bimbo rallegra le pareti. Nelle manifestazioni i partecipanti espongono cartelli, sebbene siano chiari a tutti i loro obiettivi. Casa nostra smette nella nostra percezione di appartenerci nel momento in cui viene affisso un cartello con la scritta 'Vendesi': da allora è come se avvertissimo pudore a sfiorare persino la ringhiera. E fa riflettere che l’evento più conosciuto e più rappresentato della storia, ossia la crocifissione di Gesù, sia stato suggellato visivamente al suo apice da un cartello, il titulus crucis.
Potremmo spingerci a vedere il Padre riconoscere la regalità del Figlio proprio mediante un cartello esposto nel punto più alto della croce, e addirittura in tre lingue indica Giovanni: ebraico, latino e greco. Non è un particolare insignificante, dal momento che l’esibire il motivo della pena era prescritto dal diritto romano in una sola lingua, mentre la traduzione in altre due era riservata solo agli eventi solenni. Ma venendo alla ferialità delle nostre esistenze, si avverte plasticamente che ci si è calati nel clima sponsale al momento dell’affissione delle partecipazioni, così come il 'cartellone' con la pubblicazione dei voti ha segnato per generazioni di studenti l’imprimatur di una promozione o di una bocciatura. Perché i cartelli, nella loro limpidezza, esprimono tutta la guantiera dei sentimenti umani, compreso il disagio, compreso il disprezzo.
Pensiamo alla gogna delle guardie maoiste che fissavano, pendente dal collo degli avversari, una volta fatti inginocchiare, il cartello con l’insegna: 'Ecco un imbecille reazionario', lo stesso pubblico ludibrio a cui fu sottoposto nel film di Mario Monicelli e con Alberto Sordi 'Il Marchese del Grillo', Aronne Piperno l’ebanista. Colpisce quanto De André nella stesura di 'Bocca di Rosa' scese in particolari, anche cromatici, solo nella descrizione del cartello che a Sant’Ilario salutò la prostituta: «C’era un cartello giallo, con una scritta nera, diceva addio bocca di Rosa, con te se ne parte la primavera». Non serve nemmeno sia visto. Nel libro dei Numeri il sacerdote scrive le maledizioni su un cartello e poi le cancella con l’acqua amara, è come se idealmente si debba compiere un passaggio che proceda da un cartello. Appena un bimbo giunge all’isola neonatale, alla sua culla viene attaccato un cartello con nome, data di nascita, peso, altezza.
È ufficialmente nato, così come è il cartello che decreta l’inizio di un paese. È la targa (cartello nobilitato dall’ottone) sulla porta del professionista che fa lo studio. È il cartello 'Attenzione, bagnato' che firma l’istituzionalità di un luogo aperto al pubblico, come quello 'chiuso per ferie' che spodesta la laboriosità routinaria tingendo le vie di desolato abbandono. La stessa espressione 'caratteri cubitali' pare essere stata coniata proprio per i cartelli, dal momento che il cubito era la distanza dal gomito alla punta delle dita, e nessun volume avrebbe potuto ospitare caratteri di siffatte dimensioni. È il cartello che fa il clochard, è il cartello 'Wanted' che ti inserisce nell’anagrafica criminale soggetta ai cacciatori di taglie, e non vi è mai sfumatura, non esistono cartelli interpretativi.
Non c’è confronto tra cartelli, chiunque abbia un cartello ha sempre il cartello dalla parte del manico. È un cartello che segna l’inizio della clausura nei monasteri, così come è un cartello che ricorda al frate: 'Ora et labora'. Nulla è più titolato di un cartello, che dispone solo di titoli e di titolarità. Il cartello è la sinterizzazione del pensiero, il solidificare una certezza che si spiega senza fare una piega, perché il cartello non è una banderuola e non svolazza, non ha moti ondulatori fisici o volitivi. Partoriti nell’ignoto si dissolvono tornando nella foresteria del mondo: non esistono cartelli consumati oltre la data di scadenza o un museo dei cartelli: si vedono solo mentre sono pulsanti di tanta vita.
Non c’è verbosità, riescono a esprimere compiutamente un concetto senza i verbi, che sono il fondamento della frase: il logos che si fa carne, in latino, è stato tradotto con verbum. Il marketing ha compreso questo potere, e ultimamente si notano canzoni e post sui social, nei quali i protagonisti invece di parlare o oltre all’oralità affiancano un cartello, il quale non solo viene subito letto, ma impresso in modo indelebile.