Le immagini le abbiamo viste ieri ai telegiornali: migliaia di candidati ad affollare le scuole sede d’esame, nel primo giorno in cui sono state calendarizzate le cosiddette «prove preselettive» del concorso a cattedre (le altre si svolgeranno oggi, martedì). Immagini che – a parte il computer al posto del foglio di carta (novità a cui il ministro dell’Istruzione Profumo teneva moltissimo) – ci sembra di aver visto già mille altre volte in mille altri concorsi pubblici, con un numero di iscritti drammaticamente superiore rispetto ai pochi posti disponibili.Gli iscritti questa volta erano 321.210, per 11.542 cattedre. Non si sono presentati tutti (per fortuna, diciamo noi, altrimenti il caos organizzativo sarebbe stato pressoché certo), ma una buona parte sì. Tra coloro che sostengono queste prove è plausibile che ci siano – ai due estremi opposti – da una parte laureati con ottimi voti, preparati nella loro disciplina e motivati alla professione di docente, e dall’altra laureati con voti bassi o mediocri, magari non così ferrati nelle materie che pure hanno studiato all’università (forse anche un po’ troppi anni fa) e neanche particolarmente portati a insegnare: ma si sa, soprattutto in tempi di crisi economica, un posto statale "sicuro" non va disprezzato (non è un caso che sia molto alta, tra i partecipanti, la quota di laureati in Ingegneria, Economia, Giurisprudenza, lauree che tradizionalmente offrivano chance economiche migliori rispetto al magro stipendio del professore).Peccato che non è detto che i candidati migliori passino le prove e quelli peggiori no. Perché i test preselettivi assomigliano più ai quiz per la patente di guida, a un terno al lotto, a un gratta e vinci, che non a prove serie capaci di misurare la preparazione culturale e l’attitudine pedagogica. Ne abbiamo avuto un assaggio sin dai giorni scorsi con la "piattaforma" predisposta dal Ministero per far esercitare i candidati. Anche lì con polemiche a non finire, perché dei 3.500 quesiti (da cui sarebbero stati tratti i 50 del test vero e proprio), nel caso di risposta errata, non veniva indicata quella giusta. Un aspirante docente, poniamo, di Lettere si potrà trovare una domanda di questo tipo (citiamo testualmente dall’"esercitatore" ministeriale ): «Se: @ + @ = § - ç § = -1 @ = 1 Allora ç è uguale a: -3; 1; -1; 3». Che c’entra tutto ciò con l’italiano e il latino? È un test di logica, si dirà. Ma siamo sicuri che questo sia il modo più adatto per misurarla? Altro quesito: «In ambiente Windows, quale tasto funzione si utilizza per aggiornare la finestra attiva? F5; F12; F3; F1». Uno può sapere usare benissimo il computer (abilità giustamente richiesta ai futuri docenti), ma non conoscere la risposta a una domanda formulata in questo modo.Davvero non c’è un’alternativa ai quiz? Quiz che ci sembrano, francamente, un po’ mortificanti. È vero, il numero dei candidati è molto alto e quindi – si dice – non c’è altra via se non quella di una prima "scrematura": ricordiamo che questa è solo la fase preliminare della procedura, che per gli ammessi proseguirà nei prossimi mesi con una prova scritta e un’altra orale. Ma se tutti riconoscono che quella dell’insegnante è una professione importante, strategica, fondamentale per il futuro della nostra società, perché non provare a selezionare seriamente i laureati migliori? Come? Un’idea potrebbe essere quella di limitare, nei bandi di concorso, l’accesso a coloro che siano in possesso di un punteggio minimo di laurea. In tal modo si potrebbero esaminare seriamente gli iscritti, in un numero "umano", senza sottoporli a dei test che non testano un fico secco e che, onestamente, hanno l’unico scopo di eliminare la maggior parte dei concorrenti.