Che cos’è un uomo abile? Sulla base di quale criterio possiamo definire per che cosa e quanto saremo abili? Ci sono uomini inabili in cose elementari e pur geniali in altri campi. Vale per scienziati, per artisti e per gente di ogni genere. Una società che si ritiene basata sull’efficienza è basata dunque su un gigantesco equivoco. La presenza nella storia di figure notevoli in campo artistico o scientifico affette da disabilità evidenti ha spesso nutrito una confusa idea per cui il talento sia necessariamente legato a una qualche forma di stranezza o malattia. Il che non è vero, mentre è vero piuttosto che bisogna andar cauti a stabilire quale è il livello di normalità o abilità accettabili non si capisce bene da chi o cosa. Nessuno può stabilirlo di nessuno, e questo è il segreto fastoso e commovente della nostra fratellanza. È la festa sconcertante del nostro non poterci giudicare. Così cade ogni orgoglio di stabilire graduatorie di valore sulla base di idee o ideologie che presumono di definire cosa dà valore all’uomo. Come se una abilità o un potere fossero in grado di rivelare che cosa è una persona. Invece è solo mistero e ancora mistero.
Le abilità che la natura e il buon Dio ci regalano sono il bell’ornamento di un volto che è sempre terribile e magnifico contemplare. Ci sono iniziative che ce lo ricordano, per fortuna. Come alcune mostre o festival fioriti negli ultimi anni, che valorizzano le abilità in campo artistico di persone invece inabili o gravemente disabili fisicamente o psichicamente. A Carpi ogni anno da un po’ di tempo si tiene un festival della cooperativa Nazareno, con artisti diversamente abili, come si dice in modo strambo e banale. E ora la Comunità sant’Egidio ha promosso a Venezia, entro la prestigiosa cornice di Biennale Session, un’esposizione di artisti affetti da disabilità fisica di vario genere. Artisti veri, ripetono giustamente con forza dalla Comunità. Non si tratta di dare soddisfazione a qualcuno che essendo disabile in qualche attività può "rifarsi" in un altro campo. Non si tratta di compensare l’incompensabile. Ma di deviare lo sguardo, finalmente, su una verità immensa che la nostra società e la nostra pigrizia nascondono sotto una montagna di detriti, sotto una spettacolosa finzione di schermi. Una verità nascosta in un carnevale triste di luoghi comuni.
Ogni uomo è abile in quanto tale. Perché un raggio laser di verità, un raggio luminoso di logica e non solo di pietà unisce l’essere uomini con l’essere abili all’esistenza. Si tratta di spostare le banali caricature di mondo in cartapesta che ci circondano e di vedere. Vedere finalmente il segreto invisibile e visibilissimo dell’esser uomini. Che è il destino stesso di concezione e nascita. Di chiamata. E dunque l’esposizione, la condivisione di lavori artistici nati da mani e menti valutati disabili ad altro ci costringe ad allargare il concetto di abilità. Ci costringe a inquietarlo, a ferirlo, a sfarinarlo infine. E non per pietà, ripeto, ma per logica. Gli artisti chiamati da Sant’Egidio a Venezia, o da altri in analoghe occasioni, ci chiamano a un giudizio pieno. Sulla loro opera e non sulla loro presunta maggiore o minore abilità. Si tratta di guardare l’opera in cui queste persone – come noi nelle nostre – esprimono quel che Leopardi chiama «l’etterno misterio» dell’essere umano. Un rischio supremo per loro. E per chi li ha convocati, nell’intento che questo gesto di esibizione che sembra estremo risulti invece delicato, una civile di correzione della nostra mentalità. Che la Biennale di Venezia si apra – dopo Carpi e altre città – è segno che crescono i gesti di maturità contro una mentalità che fa dell’efficienza un idolo cieco e muto. E banalmente malvagio.