E siamo ormai quasi alla fine della scuola: a quei giorni di giugno e di pagelle che da sempre sono torridi, e di esami di maturità, con le sere passate sui libri nell’aria afosa e immobile. E col ristoro, una volta, solo di un ventilatore a pale, o di una granita al limone, giù al bar. Questi sono i giorni, in Italia, in cui negli stabilimenti al mare si aprono come fiori gli ombrelloni, e i venditori di anguria agli incroci cominciano a smerciare quelle fette dal cuore rosso in cui da bambini si immergeva la faccia, in un primo tuffo nell’estate. Ma quest’anno è successo qualcosa, o, piuttosto , non è successo. Il caldo, quel nostro regale caldo mediterraneo che scioglie l’ultima neve in montagna e schiaccia la pianura padana sotto a un giogo, non arriva. Manca, al consueto appuntamento che noi, senza accorgercene, istintivamente aspettiamo. Avremmo voglia magari ormai di vedere il mare: di scorgere da lontano, scendendo da Milano verso la Liguria, quella striscia di blu profondo che già dall’autostrada ci mozza il fiato.
Addirittura ci sembrerebbe l’ora di mettere un piede nell’acqua, a assaggiarla; sarebbe l’ora per i bambini dei primi ghiaccioli, e del secchiello e delle palette lucenti, nuove. Ma manca alla festa, quest’anno, un convitato: il sole.
Quel sole che a giugno tramonta a tarda sera, e si fa nell’abbassarsi all’orizzonte rosso fuoco, e ci incanta. Mentre sciami di zanzare ci aspettano golose al varco, e noi quasi come in una guerra ci difendiamo con spray, piastrine, emanatori, e quant’altre armi la tecnologia abbia saputo inventare contro le eterne nemiche. Ma, quest’anno, nemmeno le zanzare si sono viste. Morte, forse, di freddo? Personalmente non riesco a rallegrarmene: anche loro, come le angurie e i cappelli di paglia, sono parte di quel fuoco dell’estate, che stavolta stenta a abbracciare la penisola. E non è solo questione di freddo, o di pioggia: quest’anno in tanti abbiamo avuto la sensazione di un appuntamento tradito. Come se il sole si fosse scordato di arrivare; mentre noi lo aspettavamo, certi.
Qualche signora aveva già comprato i sandali e gli abiti leggeri, e quante spose sono andate all’altare tremando, in questo maggio, nei loro candidi abiti di seta e pizzo. Perché, senza che sia scritto in alcun codice, è un tacito patto che in Italia, a fine maggio, il sole bruci, e scotti la pelle chiara i primi turisti tedeschi. Quest’anno, no: sono tornate a Francoforte e a Amburgo le avanguardie, nei loro camper, bianche come prima. Il sole, han detto meravigliati agli amici, quest’anno in Italia non c’era.
Malinconia, e un certa inquietudine addosso: dove è andato, quel sole? Perchè per quanto indaffarati o distratti, abbiamo scritti nel cuore certi appuntamenti: col gelo e la neve, a Natale, e col caldo che arroventa le tegole sui tetti, e i miagolii delle gatte in amore, all’inizio dell’estate. Lo sappiamo da quando siamo nati, ed è forse l’unica memoria da tutti condivisa, la certezza che a maggio verrà il sole, come in un abbraccio; come quando, a una certa data, si torna dai vecchi, al paese, e quelli sono lì, ogni anno, fedeli. Passerà, certo. Forse, l’estate comincerà oggi. Ma questi giorni in cui l’abbiamo attesa vanamente hanno insinuato in qualcuno un indefinibile malessere. Noi uomini violiamo, della natura, molte leggi.
Modifichiamo il Dna delle piante, infiltriamo le falde di veleni e i cieli di fumi; per non parlare dell’uomo, concepito in provetta, selezionato, trapiantato come un seme qualunque. Ma se fosse la natura, un giorno, a violare gli antichissimi patti? Se un anno non si ripetesse, la eterna sequenza, con l’aria e gli odori e sapori che sappiamo fin da bambini? Via, ci diciamo, l’estate, certamente, è alle porte. Ci resterà, di questa fredda primavera, solo un ricordo strano, un dubbio assurdo: cosa succederebbe, se a violare gli accordi, se infedele per una volta fosse il creato, e non noi.