Gentile direttore,
vogliamo esprimerle il nostro profondo ringraziamento per aver acceso, ancora una volta, i riflettori su queste martoriate terre. Le scriviamo da quella striscia di territorio che, situata al confine fra Napoli e Caserta, per anni è stata devastata dalla barbarie criminale della camorra. La stessa dove – come Avvenire ha messo in forte evidenza, riferendosi allo scioccante rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità – l’incidenza delle malattie neoplastiche e delle malformazioni congenite è più elevata che altrove.
Viviamo le conseguenze del disastro. La camorra ha fatto convergere qui tonnellate di rifiuti speciali e tossici. Sono seppelliti sotto le nostre case, lì dove viviamo, dove ci sono i nostri affetti, i nostri cari ma lì dove vivono anche i loro figli, le loro mogli, i loro genitori. Che si ammalano come noi.
L’intercettazione telefonica tra camorristi, citata anche nell’intervista al comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Napoli, è raccapricciante. «Mi sa che stiamo inquinando tutto con questa monnezza, perfino le falde acquifere», diceva uno. «E a noi che ce ne fotte – rispondeva l’altro – tanto noi ci compriamo l’acqua minerale». Un delirio di onnipotenza, ma anche il segno di una miopia e stupidità disarmante. Un linguaggio della sopraffazione e della violenza, destinato a fallire dinanzi alla consapevolezza, alla denuncia, al senso di responsabilità. Per questo, direttore, la sua iniziativa e le sue parole, gli editoriali e gli articoli pubblicati da Avvenire acquisiscono un significato fortissimo. Perché parlarne significa informare ed educare affinché si cambi direzione in discontinuità con il passato.
La ringraziamo per aver fatto comprendere lo scempio compiuto in queste terre e soprattutto per aver denunciato il silenzio in cui esso si consuma. Ma la nostra gratitudine è anche per l’impegno profuso dagli inviati del giornale che dirige. Non solo validi e straordinari professionisti, ma anche testimoni profondi e sensibili, devoti alla missione di raccontare tutto quel che qui accade. Raccontare, cioè, anche l’altro fuoco che da un po’ di tempo arde, forse più vivo di quello dei roghi che si sprigionano lungo la superstrada Nola–Villa Literno o sulle sponde del canale dei Regi Lagni. Il fuoco della passione, della rabbia, del coraggio e della speranza di tanti giovani, donne e uomini che attraverso l’uso dei beni confiscati, percorsi di integrazione, di economia e agricoltura sociale, tentano giorno dopo giorno di trasformare le “terre di gomorra” in terre di don Peppe Diana. È l’esperienza viva delle cooperative e delle associazioni che lavorano con i ragazzi autistici nella casa del camorrista Francesco Schiavone, dei progetti terapeutici riabilitativi individuali a S. Cipriano d’Aversa, a Maiano di Sessa Aurunca, ad Aversa, dell’esperienza agricola di Casal di Principe, di Castelvolturno, di S. Maria La Fossa, delle donne africane che fanno sartoria sociale con stoffe provenienti da diverse parti del mondo, della casa del boss Antonio Iovine che viene liberata ed aperta alle attività sociali, dell’esperienza del consorzio Agrorinasce, di Libera Caserta e del Comitato don Peppe Diana, di altre innumerevoli realtà che si impegnano quotidianamente in questa terra. È l’esperienza del Festival dell’impegno civile (unica rassegna al mondo a svolgersi interamente in beni confiscati alla malavita organizzata) che nei luoghi in cui per anni è stata decisa la morte del territorio e delle persone, riporta il sorriso, i progetti, la cultura. È l’esperienza di memoria delle vittime innocenti delle mafie, dei loro familiari, delle loro storie che diventano patrimonio comune lungo la scala armonica di soavi e dolci melodie che prendono il posto di suoni gravi e mesti. È il fuoco del cambiamento che purifica, è l’orizzonte che si apre alla storia, sono le spighe di grano che prendono il posto dell’erba amara e indistinta, è il vino nuovo che comincia a rosseggiare sulle mense a festa.
La gente, insomma, comincia a reagire e si sottrae a questo giogo di schiavi. Il mondo del volontariato comincia a esprimere prese di posizione più coraggiose, le denunce diventano più ferme, le progettualità più chiare. È un brivido di riscossa che scuote questa nostra terra. E anche nella Chiesa si notano i segni della primavera. È una Chiesa che non si fa tentare da prudenti silenzi, che passa il guado e si schiera. Che si colloca dall’altra parte del “potere” e rischia anche la pelle. E la Chiesa capace del martirio, di don Pino Puglisi e don Peppe Diana.
Si allarga, strada facendo, l’impegno di tanti che si trasforma come si trasformano gli elementi, che si dipana seguendo più fili conduttori, che fa dialogare più prospettive e che resiste e coinvolge più dei fuochi, più dei roghi avvelenati e maleodoranti, più della stessa spavalda azione delle mafie.
Stiamo risalendo sui tetti per riannunciare parole di vita, e per questo abbiamo bisogno di tutti, di Avvenire e di quanti credono fermamente nella vittoria finale, nelle terre di don Peppe Diana. Grazie, direttore, e cordiali saluti.
Le donne e gli uomini di Libera Caserta e del Comitato don Peppe Diana