Caro direttore,
la sua risposta alla signora Tumaini su mafia e raccomandazioni (“Avvenire” di domenica 9 aprile 2017) mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca: troppe parole per girare attorno alla verità. Anche a mio giudizio è verissimo che la raccomandazione è una cosa “da mafiosi”, anche quando la fa il prete per la persona debole. Soprattutto se si tratta di un concorso o di un incarico pubblico è una interferenza indebita, che crea una rete di complicità, per far avere a chi noi conosciamo un posto che non gli spetta, se c’è un altro più meritevole di lui. Così si “sporcano” tutti (come dice papa Francesco): chi fa la raccomandazione, chi la sfrutta, quelli che l’accettano, proprio come nei rapporti mafiosi. Ed è una sporcizia che non si cancella più: infatti è come il furto che per essere perdonato richiede la restituzione della refurtiva (leggi: rifiuto del “posto” o dimissione dall’incarico indebitamente acquisito!). Io ho sempre insegnato ai miei figli che è meglio un tozzo di pane guadagnato onestamente piuttosto che un guadagno disonesto...
Giuseppe Faccini
Gentile direttore,
ho qualche perplessità sulla sua risposta alla signora Tumaini: la raccomandazione, stratagemma utilizzato per accaparrarsi un posto scavalcando in tutto o in parte un curriculum all’altezza, ha creato un esercito di potenziali bravi medici che sono invece andati a lavorare in banca senza averne le qualità; di potenziali ottimi bancari che sono divenuti mediocri insegnanti; di possibili eccellenti insegnanti diventati avvocati; di potenziali pregevoli giornalisti trasformati in mediocri medici, e via via con tutte le combinazioni possibili. La somma delle mediocrità e delle frustrazioni di centinaia di migliaia di persone produce danni incalcolabili su sviluppo, cultura e territorio, creando terreno buono per la zizzania delle mafie che colmano coi loro miraggi i vuoti esistenziali. Non è da trascurare la gravità del togliere un posto di lavoro a un meritevole.
Antonio Soro
Caro direttore,
lavoravo da giovane operaio in una grande azienda metalmeccanica nella Milano del dopoguerra. L’azienda era uno dei più grandi nomi americani, con un migliaio di dipendenti in questa città. Il direttore dello stabilimento aveva ordini tassativi dalla proprietà statunitense di non permettere l’assunzione di parenti dei dipendenti già assunti. A Milano la regola era chiara, non so che cosa accadesse altrove. In Italia “nepotismo” e “raccomandazioni” di ogni genere, che hanno sempre fatto del gran male a chiunque tentasse di lavorare o produrre bene, sono arrivati a mettere in crisi e persino distruggere floride aziende...
Franco Agosti
Non mi meraviglia che qualcuno pensi che anche “raccomandare” sia “mafioso”. Quello che io penso l’ho già scritto nella mia risposta domenicale a una gentile lettrice e non mi ripeto. Insisto, però, su un punto, anzi due. 1) Le mafie non raccomandano, comandano. E non fanno far carriera agli immeritevoli, ma agli affiliati, meglio se “meritevoli”, cioè se persone che sanno dove e come mettere le mani (che si tratti di intimidire, uccidere o maneggiare bilanci). 2) Non tutto ciò che è sbagliato e addirittura disonesto è anche mafioso. Perché non tutto è mafia e sostenerlo non aiuta a combattere e a vincere questo mostro che somiglia maledettamente a un pezzo d’Italia (che, ormai è chiaro, va da Sud a Nord), ma non è l’Italia. Alla mafia il gran male che è della mafia, perché basta e avanza a motivare ogni impegno per combatterla senza quartiere sino a estirparla. Agli onesti pane buono, certo, e onestamente guadagnato. Senza ingiusti favoritismi o nepotismi. Ma non si faccia di tutta l’erba un fascio. E si abbia rispetto di tutta la realtà, che non è solo malvagia. Conosco – anche per questo mio lavoro di cronista e per il ruolo che ricopro in questa fase della mia vita professionale – preti e laici, credenti e non credenti, che sanno spendere parole oneste, buone e umili (anche se non sempre utili, purtroppo) non per “pupilli” ma per le pupille di ogni sguardo cristiano: i poveri e i messi a margine. Si raccomandano, e raccomandano di prendere in considerazione se appena possibile, e non tolgono nulla a nessuno. Io che in questi anni di crisi ho letto e leggo col cuore stretto centinaia di lettere/ appello e di curriculum credo che nessuno, proprio nessuno, possa azzardarsi a chiamarli o pensarli “cosa da mafiosi”.