Le loro parole sono molto simili, l’ispirazione è la stessa. Mi riferisco a papa Giovanni per il Concilio e a papa Francesco per il Giubileo straordinario della Misericordia. Nella pagina d’agenda del 20 gennaio 1959 Giovanni XXIII annotava: «Per la prima volta e, direi, come a caso mi accadde di pronunciare il nome di Concilio». Il destinatario di tale confidenza era il cardinale Tardini, suo segretario di Stato. Il Papa completa l’annotazione: «Tutto fu chiaro e semplice nel mio spirito […]. Veramente a Dno factum est istud et est mirabilis oculis meis» (Questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai miei occhi).
Poi, la domenica successiva fece l’annuncio ufficiale in San Paolo. Qualcosa di simile afferma Francesco riguardo al Giubileo: «Io non ho fatto un piano. Ho fatto semplicemente quello che mi ispirava lo Spirito Santo. Le cose sono venute. Mi sono lasciato portare dallo Spirito. Si trattava solo di essere docili allo Spirito Santo, di lasciar fare a lui. La Chiesa è il Vangelo». Poi Francesco ne fece l’annuncio il 13 marzo 2015, nel corso di una liturgia penitenziale.Sarà utile riflettere un attimo sulle parole del Papa, perché sono come uno spiraglio che permette di vedere il suo animo e, al tempo stesso, lasciano trasparire limpida e forte la sua spiritualità ignaziana.
Negli Esercizi, infatti, Ignazio scrive che per conoscere e ascoltare, per accogliere e fare la volontà di Dio è previamente «necessario renderci liberi rispetto a tutte le cose create»; è importante mettere da parte se stessi, con le proprie aspettative, i propri modi di pensare e gli schemi personali per essere liberi alla mozione dello Spirito: «Solamente desiderando e scegliendo quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati». È il numero 23 degli Esercizi, che riguarda il famoso «principio e fondamento». Si tratta, in fin dei conti, di amore verso Dio e di liberazione interiore per collocarsi totalmente nelle sue mani; si tratta di lasciare "fare a Dio". E questa è docilità piena.Così Francesco è giunto al Giubileo. Penso che sia questa la parte più significativa, perché la più intima e personale, dell’intervista rilasciata da Francesco al nostro quotidiano. La corrispondenza, poi, con le parole di Giovanni XXIII riguardo al Concilio, ci permettono di percepire come e quanto Francesco sia nell’onda di quell’evento di grazia che ha segnato la Chiesa.
Nella ben nota intervista pubblicata su 'La Civiltà Cattolica' del settembre 2013, Antonio Spadaro domandò al Papa cos’è stato per lui il Concilio. S’immaginava una lunga e articolata risposta, ma nulla di ciò. Solo una frase dal sapore liturgico: «Il Vaticano II – disse – è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea ». Lectio sancti Evangelii. Spadaro commenta: «Ho come l’impressione che il Papa semplicemente consideri il Concilio come un fatto talmente indiscutibile che non vale la pena parlarne troppo a lungo, come per doverne ribadire l’importanza ».
Ora Francesco aggiunge, con semplice chiarezza, che sulla via del Concilio siamo «a metà» strada. L’avere voluto, al modo di una mistica inclusione, la coincidenza dell’inizio di questo Giubileo, che ora volge al termine, con le date conciliari ha un grande valore. Quanto il Papa dice in questa intervista, l’ha spiegato più ampiamente al n. 4 di Misericordiae Vultus. Importante è questo volto di Chiesa come Buon Samaritano dell’uomo. L’immagine è evangelica, lo sappiamo, e Paolo VI, che l’usò più volte, ne fece il sigillo del Concilio. Francesco la fa sua per spiegarci quel concetto che è al principio di Lumen Gentium: in Cristo, la Chiesa è come sacramento… «per comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio».