Caro direttore,
'libera moneta in libero Stato' potrebbe essere un bello slogan, adatto all’attuale era dei tweet e dei post. Ma a cui si dovrebbe subito contrapporre l’osservazione che non ci sono soluzioni facili per problemi complessi, e se qualcuno le propone, si tratta semplicemente di soluzioni sbagliate. Mi riferisco al dibattito sulla Teoria monetaria moderna (MMT), una bella etichetta che tuttavia nasconde un contenuto tutt’altro che moderno ed efficace come ha giustamente osservato mercoledì scorso, 22 maggio, Leonardo Becchetti.
Ma vorrei aggiungere alcuni elementi che mi sembrano particolarmente rilevanti. In primo luogo, il fatto che la MMT affronta il tema economico puntando su di uno strumento, la moneta appunto, mentre al centro dell’economia si dovrebbero mettere le persone con le loro scelte il più possibile libere e responsabili. La moneta in sé è una realtà inerte, importante certo, anzi indispensabile, ma solo se sostiene decisioni di spesa e di investimento. E peraltro la realtà fisica della moneta è sempre meno importante dato la crescente incidenza delle transazioni elettroniche. Alla base della stagnazione italiana negli ultimi decenni vi sono tuttavia tanti fattori strutturali che non ci si deve stancare di portare all’attenzione: dal peso della burocrazia all’alta pressione fiscale, dagli oneri amministrativi alle carenze nelle infrastrutture, dai limiti dell’educazione alla mancanza di efficaci strumenti di formazione. Tutti elementi che richiederebbero quelle riforme strutturali di cui si parla da decenni senza veri risultati Ma il punto principale, quello che troppo spesso non viene considerato per i suoi effetti economici (anche se questo giornale lo sottolinea da tempo), è il declino demografico con tutte le conseguenze dirette e indirette che questo comporta.
Una società in cui ogni anno nascono la metà dei bambini rispetto agli anni 60 del Novecento, non a caso quelli del miracolo economico, è una società che ha poca fiducia del futuro, che non può veder crescere la domanda, che non riesce a muovere il circolo virtuoso di produzione, lavoro, redditi, consumi. La nostra è una società in cui stanno andando in pensione i figli del baby boom dei primi decenni del dopoguerra, in cui cresce la percentuale degli over 65 (la maggior parte dei quali è fisicamente e intellettualmente tutt’altro che 'anziana'), in cui è in progressiva e forte diminuzione il numero dei matrimoni e delle nuove famiglie. In queste condizioni non manca solo la spinta della domanda aggregata, il vero motore della crescita economica, manca soprattutto la spinta a una innovazione che non può essere solo tecnologica, ma è fatta anche di spirito di progresso, di voglia di rischiare, di capacità di risolvere con soluzioni nuove i problemi nuovi.
L’Italia non cresce non per la scarsità di moneta in circolazione. La moneta è disponibile, proprio grazie alla moneta unica, a tassi di interesse quasi irrilevanti. La quota di risparmio è ancora molto alta, e questo è un dato certamente positivo. Ma ci sono molti ostacoli nel trasformare il risparmio in investimenti. Il primo di questi è proprio la fiducia, il cuore dell’insegnamento del grande economista John Maynard Keynes, la cui attenzione si è sempre concentrata sull’occupazione e in cui la politica monetaria è semplicemente considerata uno strumento da utilizzare al meglio e alla cui base sta proprio la fiducia «sia di colui che presta che di colui che prende in prestito il denaro ». Ecco perché questa teoria monetaria moderna rischia di essere non solo illusoria, ma anche pericolosa: perché la moneta facile perderebbe rapidamente tutto il suo valore. Quando negli anni 30 del secolo scorso chiesero al grande economista liberale Ludwig von Mises come affrontare l’iperinflazione diede una sola risposta: «Fermate le rotative della Banca centrale». Più che le teorie economiche, dovrebbe essere la storia a dare gli insegnamenti più utili.
già direttore di Radio24 e vicedirettore del 'Sole24Ore'