Sì, «penso ai miei ottantadue anni, che ho vissuto», ma con una certezza: «Non voglio andare in una casa per suore anziane, metterei tutti a soqquadro» e mentre lo dice se la ride. Non ne ha mai perso la capacità, nonostante abbia incontrato molti diavoli e parecchi inferni, lungo una vita spesa a combattere la tratta e salvare le ragazze schiavizzate e spedite a sangue sui marciapiedi. Quante ne ha salvate? «Non lo so – ricorda, a spanne –, penso almeno settecento». Si ferma, riflette un istante, poi fa: «Vedi, la Madonna sotto la Croce non cambiò il destino del figlio, ma era accanto a lui. Credo dovremmo fare altrettanto con le Croci di questi tempi». E intanto sta sfiorando con le dita proprio la Croce che porta al collo.
Suor Eugenia Bonetti a giorni si trasferirà definitivamente vicino Torino: «Un ritorno dove tutto è iniziato – lo definisce –, dalla formazione alla vita religiosa e missionaria alla partenza verso l’adorata Africa, fino al rientro (24 anni dopo, ndr)» e il servizio alle donne vittime di tratta. Nel 2019 papa Francesco le affidò i testi della Via Crucis e «fu difficile scriverli, mettevo e toglievo, mettevo e toglievo...». La storia che più le fece male è quella di «una ragazza che rinchiusero in una casa al terzo piano e tutti la potevano usare. Lei chiese d’andare in bagno, aprì la finestra e si buttò». Non morì, ma «aveva le ossa tutte sfracellate. La aiutammo, piano piano riuscimmo. Ecco, queste sono le cose che si portano dentro».