Offrire un supporto concreto alle donne vittime di trauma migratorio attraverso un innovativo percorso basato sul metodo non verbale e la comunicazione illustrata. È l’obiettivo del progetto europeo Simple portato a Bologna da Antoniano, in collaborazione con l'Associazione Approdi e STePS, per fronteggiare questo complesso e poco conosciuto fenomeno che, se non valutato tempestivamente, può avere conseguenze molto importanti sulla serenità e l’integrazione dei migranti.
Un fenomeno che le drammatiche immagini della fuga dall’Ucraina a causa delle operazioni militari rendono più che mai attuale e urgente da affrontare.
Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) nel 2020, 82,4 milioni di persone sono state costrette a fuggire in tutto il mondo a causa di persecuzioni, conflitti, violenza generalizzata o violazioni dei diritti umani. Numeri destinati ad aumentare nel 2022 anche a seguito del conflitto in Ucraina, per cui UNHCR stima di avere fino a 4 milioni di rifugiati solo nelle prossime settimane.
L'Italia, dopo la Grecia, è il principale punto di ingresso in Europa per le persone che fuggono dalla guerra e dall'instabilità economica.
Secondo il XXVII Rapporto sulle migrazioni del 2021 dell’ISMU , si stima che gli stranieri che vivono stabilmente in Italia siano oltre 5 milioni e mezzo, oltre la metà (52,4%) sono donne.
Fuggire dal proprio contesto di vita può lacerare la propria condizione esistenziale: i migranti abbandonano la casa, la famiglia, il lavoro e i ruoli sociali ed iniziano un processo di ridefinizione della propria identità, con conseguente esposizione a condizioni di stress o trauma estremo.
«Le donne che attraversano le rotte migratorie dei canali cosiddetti “irregolari”, secondo la nostra esperienza, sono le persone che pagano il prezzo maggiore: sono le più esposte, le meno tutelate e le meno difese», spiega Diego Manduri, psicologo dell’organizzazione di volontariato Approdi, che ha partecipato a Progetto Simple. «Il loro trauma – aggiunge Jasmeen Shehata, referente del progetto Simple per Antoniano - spesso inizia nel paese di origine, generalmente a causa di un evento drammatico come una catastrofe ecologica, una guerra, un’epidemia, persecuzioni e difficoltà ad accedere a cibo, istruzione e salute. Una volta arrivate in Italia, secondo quanto emerge dal nostro osservatorio, oltre a vivere in prima persona il trauma del viaggio, vivono il distacco dal proprio Paese di origine e un forte cambiamento della loro vita, tendono a farsi carico anche delle difficoltà di tutto il loro nucleo familiare. Per questo abbiamo deciso di focalizzare l’attenzione proprio sulle donne».
«L’unica cosa bella del mio passato sono i miei figli» racconta Alma, madre costretta a fuggire negli anni Novanta dalla Serbia per la guerra e la fame. Quando era in Serbia Alma è stata vittima di violenze domestiche e non riusciva a dare da mangiare ai suoi bambini: spesso si ritrovava a mettere una pentola vuota sul fuoco per offrire loro la speranza che stesse preparando un pasto caldo e farli addormentare più sereni. Prima di arrivare in Italia ha anche subito il trauma di un naufragio, in cui lei, la sua prima figlia e il piccolo che portava in grembo hanno rischiato di perdere la vita.
Poi ha incontrato, a Bologna, gli operatori di Progetto SIMPLE e ha riconquistato la speranza. «Mi ha fatto molto bene riuscire a raccontare a qualcuno quello che ho vissuto. Adesso sono felice di essere qui e di aver sognato, soprattutto per mia figlia, un futuro migliore», sottolinea oggi. Il suo pensiero va soprattutto alla sua unica figlia femmina: «Vorrei che lei arrivasse dove non sono arrivata io. È già riuscita a ottenere un diploma e una patente, è il mio orgoglio».
Tutte le donne che hanno attraversato la rotta balcanica e le rotte sub sahariane «sono donne che hanno incontrato, vissuto, sperimentato e subito violenze atroci», aggiunge Diego Manduri. «Oggi in Italia –sottolinea – non mancano spazi adeguati di accoglienza, ma bisogna potenziare urgentemente servizi di cura e supporto; grazie a Progetto Simple abbiamo instaurato con le migranti vittime di trauma migratorio delle relazioni che hanno consentito loro di esprimere l’inenarrabile attraverso il metodo non verbale e la comunicazione illustrata. Tutto ciò che hanno vissuto, infatti, difficilmente avrebbe trovato spazio attraverso la parola».