Il bunker sotto un centro culturale nella zona sud di Tel Aviv - Archivio
È dallo scorso mercoledì, dopo l’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh, che gli israeliani si stanno preparando per un attacco da parte di Teheran. L’Iran potrebbe entrare in azione da solo, oppure attraverso uno dei suoi bracci operativi, o anche in maniera congiunta. Il fronte di allerta è, dunque, esteso tra Iran, confine con la Striscia di Gaza, Libano, Siria, Iraq e Yemen. Il ministero della Difesa sta preparando le batterie per l’Iron Dome e consolida tutte le alleanze necessarie per contenere l’attacco. Gli israeliani si stanno invece preparando all’“israeliana”, cercando, in modo molto pratico, di organizzare tutto il necessario mantenendo il sangue freddo e soprattutto la propria routine, nei limiti del possibile.
In questi giorni i genitori hanno continuato ad andare al lavoro. mentre i bambini, essendo le scuole chiuse per il periodo estivo, continuano a partecipare ai campi estivi, per adesso ancora aperti, a seconda del Comune di riferimento. Ogni città fa un po’ a sé. Haifa, per esempio, essendo la più vicina al confine con il nord e limitrofa a numerose centrali elettriche e acquedotti, è considerata uno dei bersagli potenzialmente più esposti e per questo, già dalla scorsa settimana, l’amministrazione ha ridotto al minimo tutte le attività. A Tel Aviv, invece, i bambini continuano a frequentare i campi estivi ma, da questa settimana, ogni giorno prima di entrare in acqua, fanno un training speciale sul come prepararsi in caso di attacco missilistico e come raggiungere i rifugi, presenti su tutto il lungomare della città. Le strade e le spiagge sono comunque più vuote anche perché i turisti, che solitamente le affollano, sono del tutto scomparsi.
Un po’ ovunque la popolazione ha fatto scorte, riempiendo le dispense, e acquistando power bank in caso di mancanza di elettricità. Le case sono anche piene di bottiglie d’acqua. Per il resto, si aspetta. Abitudine e rassegnazione sono il denominatore comune: questa situazione di perenne stato di assedio e incertezza è una realtà con cui in Israele si convive quotidianamente, dai tempi degli attacchi missilistici lanciati dall’Iraq nel 1991, durante la Guerra del Golfo. È da allora che, stando alla normativa israeliana, ogni nuovo edificio costruito deve avere al suo interno un mamad – un bunker – che a seconda degli appartamenti e dei quartieri talvolta è autonomo, talvolta in condivisione con i vicini, talvolta pubblico, costruito, solitamente, nel sotterraneo di parchi giochi, in modo da garantire l’accesso a chiunque, in ogni quartiere di ogni città.
All’interno di questi shelter, oltre alle provviste che vengono preparate nei giorni a ridosso del possibile attacco, non mancano coperte, libri, giochi per intrattenere i bambini e quanto altro necessario nel caso in cui, come previsto, l’attacco dovesse durare per giorni. La preparazione, va detto, include anche una forte spinta solidale che avvicina le comunità. Chi non ha un mamad in casa sa di poter contare su amici o parenti che invece ce l’hanno. Alcuni si sono già trasferiti. E la scelta e la “novità” della convivenza – specie nel corso di giornate che potrebbero risultare lunghe e intense – è uno degli argomenti di conversazione nel corso di questi giorni di attesa. C’è chi, qualora dovesse mancare l’elettricità, pensa già a come e con cosa intrattenere la famiglia oppure come preparare da mangiare, avendo le risorse al minimo. Tutti contano su Iron Dome, il sistema antimissile che garantisce la sopravvivenza di Israele.
E oltre a Iron Dome c’è un sistema collaudato di allerta con cui l’Home Front Command (che nel Paese viene chiamato Pikud HaOref, o semplicemente Oref), ossia il comando dell’esercito incaricato di monitorare e gestire le emergenze su tutti i fronti, avverte i cittadini attraverso un sistema di App, indicando come procedere. Almeno fino a quando c’è elettricità.