Il presidente del Parlamento venezuelano, autoproclamatosi presidente ad interim, Juan Guaidò (Ansa)
Forte del sostegno di Europea, Usa e Canada, cui si aggiunge oggi l'Australia, il presidente del Parlamento del Venezuela autoproclamatosi presidente ad interim, Juan Guaidó, in diretta televisiva ha chiamato la popolazione a uno sciopero generale mercoledì e una manifestazione sabato. Per obbligare il presidente Nicolas Maduro a indire nuove elezioni. Proprio sabato scade l'ultimatum di 8 giorni lanciato a Maduro dai leader europei e fatto proprio dall'Ue. Ultimatum respinto al mittente. Nelle proteste dell'ultima settimana circa 29 persone sono state uccise e oltre 350 arrestate. Mentre la crisi economica è sempre più grave.
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Guaidó invoca la piazza e l'esercito
Mercoledì alle 12: è questa l'ora in cui Guaidó, ha convocato i connazionali in piazza, per una «protesta pacifica» che servirà a chiedere di fare arrivare nel Paese aiuti umanitari. «Uscite da case e uffici per una manifestazione pacifica di due ore». Sarà la prima delle proteste: l'appuntamento successivo è per sabato, giorno in cui scade l'ultimatum dell'Ue, che ha chiesto nuove elezioni a Maduro. Per sabato Guaidò invoca dimostrazioni di massa «in ogni angolo del Paese» e ovunque nel mondo.
Guaidó ha lanciato il suo appello anche all'esercito, con la promessa di amnistia. Sinora l'esercito è stato un pilastro del sostegno del governo di sinistra, ma c'è stata una prima diserzione di alto livello: l'attaché militare a Washington, il colonnello José Luis Silva. In un video Silva ha esortato i «fratelli nelle forze armate» a riconoscere Guaidó come «unico legittimo presidente» e ha ricordato che la Costituzione non permette di «attaccare la gente».
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Maduro respinge l'ultimatum e accusa gli Usa
Il presidente Maduro ha respinto al mittente l'ultimatum lanciato dai leader europei perché convochi nuove elezioni. «Nessuno può darci ultimatum. Il Venezuela non è legato all'Europa, questa è totale insolenza», ha detto parlando a Cnn Turk. «Tutto quel che succede è legato all'America, ci stanno attaccando e pensano che il Venezuela sia il loro giardino» accusa Maduro, professandosi però «aperto al dialogo».
Stati Uniti, Canada, Australia e vari Paesi latinoamericani, che hanno rifiutato di riconoscere l'esito delle elezioni del maggio 2018, hanno appoggiato Guaidó, alzando la pressione su Caracas. Maduro è invece stato appoggiato da Russia, Siria, Turchia e Cina, nonché dagli alleati storici, Cuba e Bolivia.
All'Onu scontro Usa-Russia
Sabato alla sessione speciale del Consiglio di sicurezza Onu il segretario di Stato Mike Pompeo aveva descritto Maduro come parte di «uno stato mafioso illegittimo» e aveva chiesto alle nazioni di tagliare i legami economici, puntando il dito contro Russia e Cina. Mosca ha da parte sua accusato Washington di interferenza e di voler «orchestrare un colpo di stato», negando che 400 mercenari russi siano nel Paese per proteggere Maduro. Questi aveva ordinato ai diplomatici americani di lasciare il Paese, ma gli Usa avevano detto avrebbero ignorato l'intimazione, dicendo di non riconoscere Maduro ma anche di ritenerlo responsabile della loro sicurezza.
Il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, ha poi scritto su Twitter che «qualsiasi violenza e intimidazione contro il personale diplomatico americano, il leader democratico del Venezuela Juan Guaidó, o l'Assemblea nazionale, rappresenterebbe una grave aggressione allo stato di diritto e troverà risposta significativa».