Un gruppo di migranti sul tetto de "La Bestia", il treno merci che attraversa il Messico, da sud a nord, verso il confine statunitense (Ansa)
La tensione fra autorità federali e statali Usa sull’immigrazione ha raggiunto un nuovo livello questa settimana, quando un procuratore federale ha incriminato un giudice del Massachusetts per aver impedito l’arresto di un immigrato nel suo tribunale. È estremamente raro, se non inaudito, che una Procura muova accuse criminali nei confronti di un magistrato, e il caso ha sollevato critiche e polemiche. Questo mentre al confine fra Usa e Messico continuano le ronde di vigilantes armati che fermano con fucili puntati gruppi di immigrati e li consegnano alle autorità di frontiera, che non intervengono per fermarli.
I fatti del Massachusetts risalgono allo scorso anno, quando di fronte al giudice Shelley Richmond Joseph comparve un immigrato dominicano, Jose Medina-Perez, accusato di traffico di droga. Nel corso nell’audizione, il pubblico ministero e la difesa concordarono però che si era trattato di un errore d’identità: la persona in stato di arresto non era quella ricercata per droga.
Ma mentre il giudice si preparava a rilasciare l’accusato, il suo difensore la informò che un agente dell’agenzia per l’immigrazione, Ice, era presente in aula. Joseph ordinò allora all’agente di attendere fuori dal tribunale. Successivamente, stando all’incriminazione, consigliò all’imputato e al suo avvocato di uscire da una porta nel seminterrato. Atti che un procuratore federale ha definito intralcio alla giustizia, sostenendo che i magistrati «non possono scegliere a piacimento quali leggi far rispettare e quali no». Joseph si è dichiarata non colpevole, ma è stata sospesa dal suo incarico senza stipendio durante l’iter processuale. Stando agli esperti legali, sarà difficile che l’Amministrazione Trump ottenga una condanna nei suoi confronti, perché numerosi precedenti stabiliscono l’autorità di un giudice nel suo tribunale, così come il principio di non interferenza del governo nei suoi confronti. Ma lo scontro ha già assunto connotati politici. «L’accusa di oggi è un attacco politicamente motivato all’indipendenza dei nostri tribunali, un principio fondamentale del nostro sistema costituzionale», ha sostenuto il procuratore generale del Massachusetts, Maura Healey, democratica.
Più volte negli ultimi due anni giudici statali hanno sostenuto il diritto delle amministrazioni locali (soprattutto quelle che si definiscono «santuari», cioè luoghi sicuri per i migranti) di non collaborare con le autorità federali nelle deportazioni. «I tribunali non dovrebbero essere usati come esca nella necessaria applicazione delle leggi sull’immigrazione del nostro Paese», ha scritto il capo della Corte Suprema della California nel 2017 all’allora ministro alla Giustizia Jeff Sessions.
Il dibattito avviene sullo sfondo di crescenti tensioni al confine meridionale, soprattutto in New Mexico, dove da settimane milizie di cittadini che portano finte uniformi, finti distintivi da poliziotti e fucili automatici verissimi, intercettano gruppi di immigrati terrorizzati, li fanno inginocchiare davanti ad armi puntate al grido di «Polizia» e attendono l’arrivo delle pattuglie di frontiera. Comportamenti che alcuni sceriffi locali, oltre alle associazioni di difesa degli immigrati, equiparano a rapimenti e ad aggressioni a mano armata.
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