La protesta di una laureata negli Stati Uniti
La storia di Tricia, che oggi spesso dorme in auto e percorre centinaia di chilometri per poter lavorare a 7 dollari l’ora, è simile a quella di molti suoi coetanei americani. Ha 35 anni. È stata la prima della sua famiglia – impiegato di banca il padre, maestra la madre – ad andare all’università, ma senza poter contare sull’aiuto economico dei suoi genitori. Dopo quattro anni in una facoltà di Storia, è emersa con 13mila dollari di debito. Più tardi, mentre guadagnava quasi 30mila dollari all’anno come insegnante in un liceo privato, è riuscita a pagare le rate mensili in tempo. Nel 2008 è stata licenziata durante la crisi economica e ha deciso di fare come tanti altri: è tornata sui banchi. Si è iscritta a un master in Politica pubblica, dove, pur avendo ottenuto alcune piccole borse di studio e partecipato a un programma di studio e lavoro, ha accumulato altri 50mila dollari in prestiti federali. Quando ha finito, l’economia non si era ancora ripresa e ha faticato a trovare lavoro. Mentre studiava aveva differito i suoi prestiti (il che significa che non doveva pagare e l’interesse non si accumulava) e, quando il periodo di differimento si è esaurito, ha ottenuto di sospendere i pagamenti per due anni (durante i quali gli interessi hanno continuato a maturare). Nel 2012 ha trovato un lavoro come funzionaria statale ad Austin e conosciuto Tyler, un ricercatore di biologia all’università del Texas con 40mila dollari di debiti. Quando lei e Tyler hanno di nuovo perso il posto nel giro di qualche mese, tre anni dopo, hanno capito che dovevano fare una scelta radicale.
«Abbiamo messo tutte le nostre cose nell’appartamento dei miei genitori a Houston, dove non c’è abbastanza spazio per noi, abbiamo disdetto il contratto d’affitto – spiega Tricia – e siamo partiti. Avevamo sentito che era facile trovare lavoro come guardiani dei pozzi di petrolio a Midland, in Texas». I due hanno sorvegliato un cancello per due mesi. «È stato terribile – spiega Tyler –. Abbiamo fatto turni di 24 ore a 5 dollari all’ora, dormendo a brevi intervalli. Devi registrare chiunque entra, prendendo targa, nome, a tutte le ore del giorno e della notte. Quando ce ne siamo andati, eravamo degli zombi». I due non erano riusciti a risparmiare un centesimo, e quello che era nata come un’esperienza estiva è diventato uno stile di vita. Da quattro anni viaggiano senza sosta attraverso gli Stati Uniti in cerca di lavori stagionali, dormendo in squallidi motel al bordo della strada o nella loro Toyota Camry, con l’obiettivo di vivere con meno di 800 dollari al mese, pagare le rate dei prestiti e mettere da parte 3 dollari al giorno per potere, un giorno, comprare un appartamento.
«Abbiamo entrambi ricevuto offerte di lavoro nei nostri rispettivi ambiti negli ultimi anni – spiega Tricia – ma gli stipendi non erano abbastanza per mettere su casa e abbandonare la vita sulla strada». I due fanno parte dell’esercito di oltre 750mila americani espulsi da un sistema economico che scarica tutti i costi e le responsabilità della vita sulle spalle degli individui, con pochissimo spazio per istituzioni di condivisione collettiva del rischio come sanità e dall’educazione pubblica, sussidi di disoccupazione e pensioni. Giovani nomadi come loro sono la personificazione della convenienza per i datori di lavoro, alla stregua di immigrati irregolari, ma con il vantaggio di non creare problemi con la legge. Appaiono dove e quando sono necessari. Non restano abbastanza a lungo per iscriversi a un sindacato. Alla fine dei loro turni sono troppo stanchi per scambiare punti di vista con i colleghi. Chiedono poco o nulla come protezioni. Sono semplicemente contenti di qualsiasi parvenza di stabilità gli impieghi a breve termine possono offrire.
Al contrario di molti altri nomadi che incontrano durante le loro peregrinazioni, Tricia e Tyler sono abbastanza istruiti da sapere di essere sfruttati. E forse è peggio. «Non è facile vivere con la certezza che all’università ci hanno venduto delle bufale – dice Tyler – e che passeremo tutta la vita a pagare un sogno infranto».
Negli ultimi anni hanno dormito nei parcheggi dei camion, dietro gli ipermercati Walmart, in stazioni di servizio abbandonate, nei deserti e nelle strade suburbane. «Ma le zone residenziali sono le peggiori – dice Tricia – perché i vicini possono chiamare la polizia». Ecco perché hanno imparato che è importante avere una buona storia sempre pronta. Se sei parcheggiato vicino a un ospedale, spiegano, è perché stai andando a trovare un paziente. Se sei nei pressi di un’officina, stai facendo riparare il motore. Un’altra strategia fondamentale è camuffarsi. Ciò significa mantenere l’auto pulita, senza lasciare mucchi di vestiti sul sedile posteriore. Significa evitare di attirare l’attenzione quando ci si va a lavare in un bagno pubblico utilizzando un gilet da caccia con tante piccole tasche dove nascondere gli articoli da toeletta. A Williams, in Arizona, Tricia e Tyler avevano trovato impiego come camerieri, ma solo per un mese. Venivano da Las Vegas e contavano di tornarci, sperando di trovare un posto come mazzieri di poker. Tyler l’ha già fatto e lo ricorda come il lavoro migliore della sua vita da nomade. «La paga è ottima e il cibo gratis – dice –. Il lato negativo è che ogni volta bisogna frequentare un corso di formazione che può costare qualche centinaio di dollari».
A Las Vegas è più facile lavorare pulendo stanze negli hotel o come parcheggiatore e ci vanno abbastanza spesso da essersi fatti qualche amico. «Ma la coppia che avevamo incontrato ora è in Kentucky – dice Tricia –. Una conseguenza della vita nomade è che le amicizie sono di breve durata. Noi siamo fortunati perché abbiamo l’un l’altro. Molte persone che incontriamo viaggiano da sole».
Dopo la tappa in Nevada, i due si dirigeranno verso Sud. Tyler ha perso un’otturazione e hanno sentito dire che a Los Algodones, nello Stato messicano della Baja California, i dentisti costano poco. «Algodones è stata soprannominata la città dei molari, perché ci sono 350 dentisti!», ride Tyler. Dopo non sanno dove andranno. Avevano preso in considerazione l’acquisto di un appezzamento vicino al deserto di Cochise, in Arizona, dove la terra costa poco e le regole per la costruzione sono quasi inesistenti. Ma alla fine hanno rinunciato. La zona era troppo isolata: avrebbero dovuto spostarsi per decine di chilometri per trovare lavoro e fare la spesa. Sarebbe stato troppo costoso. Per ora, restano sulla strada.
(2. Fine. La precedente puntata è stata pubblicata il 5 maggio 2019: Usa, pensioni da fame e salari bassi si torna «on the road» di Elena Molinari, inviata a Las Vegas)