La folla alla celebrazione di domenica scorsa della Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca nel Monastero delle grotte di Kiev - UOC-MP
«Preghiamo affinché il Signore faccia cambiare idea a quanti vogliono che i nostri fratelli lascino questo monastero». È gremita la chiesa dell’Esaltazione della Croce mentre il metropolita Onufrij, primate della Chiesa ortodossa dell’Ucraina emanazione del patriarcato di Mosca, denuncia l’ultimatum del governo alla sua comunità. Se la celebrazione di due giorni fa doveva essere una prova di forza contro le autorità nazionali, è riuscita. Anche la piazza di fronte alla chiesa non riesce a contenere la folla di pellegrini sotto il nevischio che si allunga lungo le strade della fortezza religiosa di Pechersk Lavra. Due parole che stanno per “Monastero delle grotte” e che indicano nel centro di Kiev uno dei polmoni storici della spiritualità ortodossa slava.
Nel Monastero delle grotte di Kiev la celebrazione con il metropolita Onufrij, primate della Chiesa ortodossa dell’Ucraina emanazione del patriarcato di Mosca - UOC-MP
È la seconda domenica della Grande Quaresima e si celebrano tutti i santi di Pechersk Lavra, l’immenso santuario fondato 980 anni fa lungo il fiume Dnepr che deve il suo nome alle cavità dove sono custodite le reliquie dei monaci e in cui si entra con una candela fra le mani in una processione sottoterra davanti ai sepolcri più cari alla fede ucraina. Vuole la tradizione – insieme con gli accordi stretti dello Stato cui appartiene l’area monumentale – che la “collina verso il cielo” leghi il suo nome al patriarcato di Mosca e che qui abbia la sede la maggiore confessione cristiana dell’Ucraina. O almeno accadrà fino al 29 marzo quando tutti i sacerdoti della Chiesa legata a Mosca dovranno lasciare il monastero, come scritto nella lettera che le autorità di Kiev hanno inviato nei giorni scorsi. È l’ultimo atto del braccio di ferro contro i vertici della comunità ecclesiale finita nel mirino per le sue radici in una nazione che ha scatenato la guerra.
La folla alla celebrazione di domenica scorsa della Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca nel Monastero delle grotte di Kiev - UOC-MP
Già il 31 dicembre i religiosi erano stati cacciati da due principali luoghi di culto della zona, la Cattedrale dell’Assunzione e la chiesa dei Santi Antonio e Teodosio che porta i nomi dei padri fondatori. Ma era rimasto nelle loro mani il cuore del santuario con le grotte che ne sono il simbolo. Adesso ecco il diktat scaturito dal gruppo di lavoro interministeriale sulle organizzazioni religiose: via definitivamente dal monastero e stop all’accordo con cui lo Stato assegna l’area alla Chiesa accusata di “contiguità” con l’invasore. Per il presidente Zelensky, la decisione è «un altro passo verso il rafforzamento della nostra indipendenza spirituale». E annuncia: «Non daremo ad alcun Stato terrorista l’opportunità di manipolare la vita spirituale del nostro popolo, di distruggere i santuari ucraini - le nostre Lavra - o di deturpare i valori in essi custoditi». Dura la risposta della Chiesa ortodossa: «Non abbiamo alcuna informazione sul fondamento giuridico di tali azioni. Pertanto l’unico motivo dello sfratto dei monaci è il capriccio dei funzionari del ministero della Cultura, proprio come era avvenuto durante il regime sovietico negli Anni ‘60». E in un video su YouTube i monaci spiegano di non essere «collaboratori russi, ma cittadini dello stesso Stato». Poi in una nota si ricorda che nell’ultimo secolo i preti sono stati espulsi dalle grotte altre due volte: negli anni Venti, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, e sotto Krusciov. «La storia non insegna nulla. Chi pensa che una Chiesa possa essere sbarrata o trasformata in museo si sbaglia di grosso», è il monito. Il riferimento è alle parole del ministro Oleksander Tkachenk che ha chiamato le ottocento spoglie dei santi «reperti museali» mettendo in guardia i religiosi da ogni tentativo di trafugarle. Parole considerate un’«empietà» dai vertici ecclesiali.
Nel Monastero delle grotte di Kiev la celebrazione con il metropolita Onufrij, primate della Chiesa ortodossa dell’Ucraina emanazione del patriarcato di Mosca - UOC-MP
L’allontanamento dal luogo che la Chiesa ortodossa ha contribuito a ricostruire dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale giunge a un mese dalla
bocciatura governativa del nuovo Statuto della comunità cristiana. Con l’invasione russa benedetta dal patriarca di Mosca, Kirill, la Chiesa di matrice russa è finita nell’occhio del ciclone. Così a maggio
il Sinodo ucraino non solo ha condannato l’aggressione, ma ha anche cancellato dai documenti ufficiali ogni forma di collegamento con Mosca, sancito la «piena indipendenza canonica» dalla Russia, stabilito il centro di governo a Kiev.
Una modifica che le autorità nazionali giudicano solo di facciata. E il “no” fa ricadere la Chiesa nell’alveo della legge – in discussione in Parlamento – che vieterà ogni comunità religiosa connessa alla Russia.
La folla alla celebrazione di domenica scorsa della Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca nel Monastero delle grotte di Kiev - UOC-MP
Da mesi si susseguono
perquisizioni da parte dei servizi di sicurezze nelle chiese e nei monasteri trasformati, a detta degli 007, in «cellule della propaganda russa». Ed è stata stilata una lista “nera” di
vescovi e sacerdoti collaborazionisti: ad oggi sono cento gli esponenti ecclesiali denunciati o arrestati. Ai domiciliari è finito anche l’arciprete segretario della diocesi di Kirovohrad che però respinge tutti gli addebiti.
«I media parlano dei cento sacerdoti sospettati e non dei quaranta che si sono arruolati per difendere la patria o delle sette tonnellate di aiuti appena partiti per Bakhmut o delle nostre chiese distrutte dai missili russi o delle auto donate per i militari», è la replica. Poi la stilettata contro la «politica religiosa del governo» che punta a una «migrazione violenta dei credenti verso la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, ossia verso il ramo autocefalo, con a capo Epifanij, che si era staccato ed è stato riconosciuto dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli nel 2018. Un esempio di Chiesa nazionale che piace a Zelensky e al suo entourage.