La Messa delle palme nella Cattedrale latina di Kiev - Gambassi
Si sventolano nella Cattedrale di Sant’Alessandro a Kiev i ramoscelli di salice con i fiocchi che hanno i colori dell’Ucraina. Non c’è l’ulivo in un Paese che l’Occidente chiama il granaio del mondo. Al suo posto, nella Domenica delle palme, le frasche di un albero già in fiore che racchiudono il verde della speranza nelle foglie e il bianco della Risurrezione nelle gemme. Il vescovo Vitaliy Krivitskiy, alla guida della diocesi di Kiev-Zhytomyr, benedice una comunità che sfida la paura e gli allarmi anti-aerei per fare memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Non c’è la processione, solo l’appuntamento al chiuso. Fra le navate le anziane con i fazzoletti in testa, le mamme che spingono i passeggini, i ragazzi dell’università, i militari con le mimetiche. Il volto di un’Ucraina che da più di quattrocento giorni fa i conti con la guerra è tutto racchiuso nella chiesa a due passi da Maidan. Ed è il volto provato ma al tempo stesso pacato e temprato dalla fede di chi si prepara alla Pasqua. Quella latina è domenica, quella che unirà i cristiani della Chiesa greco-cattolica e quelli ortodossi la settimana successiva.
La Messa delle palme nella Cattedrale latina di Kiev - Gambassi
Nulla che vedere con gli sguardi carichi di tensione di quanti affollano la fortezza religiosa di Pechersk Lavra, quel “Monastero delle grotte”, polmone storico della spiritualità slava, che da mercoledì è un nuovo terreno di battaglia. Perché l’invasione voluta da Putin non ha risparmiato neppure la “collina dell’anima” lungo il fiume Dnepr che deve il suo nome alle catacombe dove sono custodite le reliquie degli ottocento santi monaci più cari alla devozione ucraina. Sul banco degli imputati la Chiesa ortodossa ucraina che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca e che il governo accusa di aver trasformato le sue parrocchie in megafoni del nemico e in covi di infiltrati del Cremlino. Compreso il grande santuario nel cuore della capitale. Preghiere segnate dalla rabbia si susseguono per impedire lo sfratto dei 220 monaci e dei 300 studenti di teologia decretato dal ministro della Cultura appellandosi alla violazione del contratto di concessione che fa della Lavra un monumento nazionale affidato alla maggiore confessione cristiana del Paese. E poi gli scontri, per lo più verbali, fra i fedeli arrivati a difendere i religiosi e i protagonisti della contro-manifestazione che, all’insegna dello slogan «Abbasso i preti di Mosca», sostiene la cacciata voluta dalle autorità nazionali.
Le proteste al Monastero delle grotte di Kiev per fermare lo sfratto dei monaci accusati di essere filorussi - Gambassi
L’ultimo scorcio di Quaresima a Kiev è mitezza e protesta al tempo stesso. Come può accadere al tempo della guerra quando l’elemento religioso diventa clava politica. E come raccontano la Cattedrale latina e la cittadella ortodossa che distano poche centinaia di metri l’una dall’altra. «Non basta dirsi cristiani e manifestarlo solo esteriormente. C’è bisogno che il Signore sia accolto nella nostra mente e nei nostri cuori», spiega il vescovo ausiliare Oleksandr Yazlovetskiy nell’omelia di domenica. Quasi una risposta a chi strumentalizza il Vangelo. E parla di «gioia e dolore» che la liturgia delle Palme mostra: la «gioia dell’abbraccio con Gesù che entra nel nostro quotidiano come è entrato nella città santa»; e la «sofferenza che dice il racconto della Passione». Poi aggiunge: «È ciò che viviamo anche noi cristiani dell’Ucraina».
La Messa delle palme nella Cattedrale latina di Kiev - Gambassi
Parole di fraternità ben diverse dal grido «satanisti» che gli affezionati della Lavra indirizzano ai manifestanti pro-governo. O all’acqua benedetta che viene lanciata contro di loro o verso i giornalisti considerati complici del presidente Zelensky. «Che Maria protegga e benedica la nostra santa dimora», ripete nella quinta domenica di Quaresima in cui si celebra Santa Maria d’Egitto il metropolita Onufrij, che della Chiesa “incriminata” è il capo e che ha come residenza il monastero ritenuto il “Vaticano” ortodosso ucraino. Un santuario perquisito dagli 007 di Kiev dopo il mandato di arresto a uno dei volti più noti delle Grotte, il metropolita Pavel, per il quale il tribunale ha disposto 60 giorni ai domiciliari e il divieto di predicare. Proprio i suoi discorsi a favore di Kirill, il patriarca di Mosca che ha benedetto l’aggressione, lo hanno fatto finire nel mirino degli agenti come collaborazionista. E per le sue auto di lusso e le sue sciarpe firmate è stato ribattezzato dai detrattori “pasha Mercedes”.
Le proteste al Monastero delle grotte di Kiev per fermare lo sfratto dei monaci accusati di essere filorussi - Gambassi
Ad alimentare il clima d’attrito anche i sospetti che si ricorrono all’ombra dei campanili della Chiesa legata a Mosca. È il caso di un prete di Khmelnytskyi, nell’Ucraina occidentale, che avrebbe aggredito un militare e che è stato cacciato dai seguaci della nuova Chiesa ortodossa ucraina, quelle guidata da Epifanij che si è staccata nel 2018 e che piace a Zelensky. Secondo i ribelli che proteggono Pechersk Lavra, è intenzione del presidente far celebrazione a Epifanij la Pasqua nel Monastero delle grotte. Era successo anche a Natale quando le due maggiori chiese del complesso erano sigillate per espellere i sacerdoti filorussi e poi concesse a tempo di record alla nuova denominazione ortodossa.
Da sapere - La "benedizione" dell'invasione e la stretta del governo ucraino
È finita nel mirino di Kiev la Chiesa ortodossa ucraina che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca. Dopo la “benedizione” dall’aggressione da parte del patriarca di Mosca, Kirill, la maggiore confessione cristiana del Paese è sospetta di vicinanza al nemico. A nulla sono valse le decisioni del Sinodo che ha condannato l’aggressione, cancellato dai documenti ufficiali ogni forma di collegamento con Mosca, rimosso il nome di Kirill dalle liturgie, sancito la «piena indipendenza canonica» dalla Russia. Gli 007 hanno perquisito monasteri e parrocchie «cellule della propaganda russa» e indagato oltre 50 fra preti e vescovi. In Parlamento sono in discussione progetti di legge per vietare le comunità religiose collegate a Mosca. Sullo sfondo la Chiesa ortodossa dell’Ucraina che si è staccata nel 2018 ed è stata riconosciuta dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli. La nuova denominazione, che ancora resta di minoranza, piace a Zelensky perché la considera una Chiesa nazionale.