Un bambino palestinese traina un contenitore di acqua potabile, su un carrettino improvvisato, nel sud di Gaza City - Reuters
La franchezza non fa difetto a Biden. Al giornalista del Time che gli chiedeva se fosse d’accordo con chi in Israele ritiene che il premier Benjamin Netanyahu stia prolungando la guerra a Gaza per i propri interessi politici, il presidente americano ha risposto: «Non ho intenzione di commentare» ma «ci sono tutte le ragioni per trarre questa conclusione». In serata ha precisato: «Netanyahu sta cercando di risolvere problemi seri». Il presidente delle gaffe, intese come verità sfuggite, ha aggiunto un’altra cosa, che in Israele si fatica ad ammettere: «Noi crediamo che ci siano ostaggi ancora vivi». Sottintendendo che sarebbe logico il contrario. Ufficialmente, sono 43 gli uccisi sui 124 ancora nella Striscia. Ma le speranze di trovare gli altri vivi, dopo otto mesi di prigionia sotto i raid, sono scarse. «Ho chiesto il cessate il fuoco – ha detto Biden nell’intervista al Time – per riavere gli ostaggi. Il mio disaccordo con Netanyahu è soprattutto sul dopo». Precisando che «non può funzionare» uno scenario che preveda il ritorno delle forze israeliane nell’enclave palestinese.
Dal Libano un alto funzionario di Hamas fa filtrare che «la proposta di Israele non risponde alla fine della guerra e al ritiro da Gaza e non è coerente con i princìpi stabiliti da Biden». «Senza una posizione chiara da parte di Israele per preparare la fine definitiva della guerra e il ritiro da Gaza non ci sarà accordo».
Nel tempo sospeso della riflessione, l’opinione pubblica israeliana si divide. In un sondaggio diffuso dalla televisione Kan, il 40% sostiene la proposta di tregua, il 27% la respinge e il 33% non sa decidersi. Il 50% ritiene che con l’accordo la guerra finirà, il 34% prevede che dopo la tregua riprenderanno i combattimenti e il 26% non sa. Alla domanda se Israele riuscirà a eliminare Hamas, il 32% risponde di sì, il 42% di no e il 26% è indeciso. Diviso è anche il governo, con i partiti ultraortodossi sefardita Shas e ashkenazita Ebraismo della Torah Unito che sostengono la posizione di Netanyahu (accordo su sei settimane di pausa per gli ostaggi «e poi discuteremo») e i leader dell’estrema destra ultrà di Sionismo Religioso e di Potere ebraico, i ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che minacciano di lasciare.
Ad aumentare la fibrillazione è la Marcia delle bandiere a Gerusalemme, che mercoledì commemora la riunificazione della città nella Guerra dei 6 giorni del 1967: una parata di ultranazionalisti che attraversa il quartiere musulmano della Città Vecchia. «Ogni anno dicono che non è il momento. Marceremo verso la Porta di Damasco e andremo al Monte del Tempio», ha annunciato Ben-Gvir alla Radio Militare, riferendosi alla Spianata delle moschee. «Dobbiamo colpirli dove è più importante per loro, e andare a dire che il Monte del Tempio e Gerusalemme sono nostri».
Martedì il ministro è andato a Kiryat Shmona, nell’Alta Galilea, dove razzi e droni lanciati da Hezbollah dal vicino Libano hanno innescato vasti roghi. «Tutte le roccaforti di Hezbollah dovrebbero essere bruciate, distrutte. Guerra!» ha tuonato. Una retorica bellicista tipica degli ultraortodossi, esentati dalla leva militare. Un privilegio che buona parte degli israeliani ritiene vada rimosso.Se anche si arrivasse a una tregua per Gaza, il rischio è che deflagri il conflitto sul fronte nord. «Ci stiamo avvicinando al punto in cui devono essere prese decisioni. L’esercito è pronto per una guerra in Libano» ha detto il capo di stato maggiore Herzi Halevi.
Stando al quotidiano libanese al-Akhbar, legato a Hezbollah, Londra avrebbe avvertito Beirut di un’offensiva israeliana su larga scala attesa per metà giugno e diversi diplomatici avrebbero confermato che è seria la minaccia di un’imminente escalation.