Guerra a oltranza nel Tigrai contro gli invasori, promette il leader del Tplf, Fronte di liberazione del popolo tigrino. E dopo tre mesi di guerra nella martoriata regione settentrionale dell’Etiopia si moltiplicano le testimonianze di massacri di civili, saccheggi e deportazioni di rifugiati eritrei che sarebbero stati commessi dalle truppe eritree alleate dei soldati etiopi. Da Addis Abeba smentiscono ogni addebito, ma cresce la pressione internazionale sul governo di Abiy Ahmed per far entrare gli aiuti umanitari distribuendoli a tutta la popolazione dopo gli allarmi delle agenzie dell’Onu e delle poche Ong sul campo per l’avanzare della malnutrizione e la mancanza di farmaci e acqua potabile.
«La situazione alimentare nel Tigrai era già estremamente grave prima che iniziassero i combattimenti a causa di un’epidemia di locuste e della pandemia di Covid-19», ha dichiarato all’Associated Press il direttore di Oxfam in Etiopia, Gezahegn Kebede Gebrehana. «Quando hanno avuto luogo i combattimenti, molte persone sono fuggite nella boscaglia. Ma quando sono tornati, la maggior parte ha trovato le proprie case distrutte o tutti gli averi saccheggiati», ha aggiunto.
Dopo un silenzio di due mesi è intanto tornato a farsi sentire Debretsion Gebremichael, l’ex presidente della regione settentrionale del Tigrai e leader del Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf), deposto assieme al suo governo in seguito all’operazione militare lanciata dal governo di Addis Abeba lo scorso 4 novembre. In un audio diffuso su Facebook e rilanciato dall’emittente radiotelevisiva tigrina Dimitsi Weyane e dai principali media internazionali – che tuttavia chiariscono che non è possibile verificarne l’attendibilità – il leader tigrino ha ringraziato il popolo per la sua resistenza e ha assicurato che la guerra continua, sebbene il governo federale il 27 novembre abbia dichiarato concluse le operazioni nel Tigrai con la presa del capoluogo Macallé.
«Sia i nostri nemici che i nostri amici devono sapere che, finché non otterremo la vittoria, non ce ne andremo da nessuna parte». Gebremichael ha inoltre garantito che i membri del Tplf continueranno a combattere «con maggiore determinazione e senza divisioni interne», quindi ha accusato il primo ministro etiope Abiy Ahmed, le forze della vicina regione dell’Amhara e i militari dell’Eritrea di «saccheggi, stupri e uccisioni» e di perseguire un «genocidio».
Nelle ultime settimane Addis Abeba ha fatto sapere di aver arrestato diversi leader del Tplf e nella capitale il processo contro 15 di loro è già iniziato. Il blocco imposto dal governo federale alle telecomunicazioni rende difficile confermare le notizie, ma fonti di stampa internazionali confermano che gli scontri non si sono mai fermati. Il bollettino quotidiano dell’Ong belga Eepa Horn, citando l’emittente Tigray media house, riferisce di scontri e di una presenza crescente di soldati eritrei a Wukro e nell’area di Tembien e accusa quattro divisioni dell’esercito di Asmara di saccheggi e uccisioni di civili nelle aree centrali della regione. Li guiderebbe il generale Eyob «Halibay», comandante delle truppe d’élite del presidente eritreo Isayas Afewerki. Sempre le truppe eritree vengono accusate di aver ucciso civili di sesso maschile con i bombardamenti e in una caccia all’uomo ad Axum e a Irob.
Una lista di 1.031 vittime civili finora «verificate» in tutto il Tigrai è stata pubblicata sul sito https://tghat.com/victim-list/ ed è in continuo aggiornamento. Intanto dai rifugiati eritrei – 100mila persone accolte in Tigrai in 4 campi – arrivano conferme dei timori dell’Unhcr sulla sorte di molti che vivevano nel campo di Hitsats, cui l’agenzia Onu non ha ancora avuto accesso. I circa 3mila fuggiti in Sudan raccontano che Hitsats è stata prima colpita dalle forze del Tplf a novembre e dicembre. Ai primi di gennaio, confermano altri testimoni fuggiti a Gondar e nell’altro campo di Mai Ayni cui abbiamo garantito l’anonimato, sono giunte le truppe eritree che hanno ordinato ai rifugiati di mettersi in marcia verso Shiraro, vicino al confine. L’esodo è durato quattro giorni, dal 7 all’11 gennaio. Avrebbero camminato anche donne, anziani e bambini. A Shiraro i rifugiati sono stati trasportati in centri di permanenza temporanea in tre località eritree, Bademe (contesa con l’Etiopia), Shilalo e Tokombia. Di loro si sono perse le tracce come di molti rifugiati eritrei del campo di Shimelba, che le immagini satellitari mostrano distrutto e deserto.