Il presidente Usa, Donald Trump - Ansa
Dopo la guerra commerciale, le accuse di poco trasparenza sul Covid e il braccio di ferro su Hong Kong, un nuovo fronte si apre tra Stati Uniti e Cina: la tutela degli uighuri. A poco è servito il faccia a faccia, avvenuto ieri, tra il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo e il numero uno della diplomazia cinese,Yang Jiechi, alle Hawaii: la tensione tra le due superpotenze resta alta. E l’avvicinarsi delle elezioni Usa lasciano immaginare che il “fuoco” è destinato ad intensificarsi. Il presidente Usa Donald Trump ha firmato, tramutandolo in legge, il provvedimento che condanna la Cina per la persecuzione della minoranza degli uighuri, che vive nella regione dello Xinjiang. La legge, in particolare, dà al presidente 180 giorni di tempo per stilare un elenco delle autorità e dei funzionari cinesi ritenuti responsabili degli abusi, al fine di colpirli con delle sanzioni. Gli Stati Uniti, secondo la legge, potrebbero congelare tutte le risorse detenute dai funzionari cinesi responsabili della repressione nella più prima economia del pianeta, vietando il visto d'ingresso.
Immediata la replica della Cina. Il ministero degli Esteri di Pechino, ha accusato gli Usa di interferire «negli affari interni della Cina» e ha esortato gli Usa a «correggere immediatamente i propri errori. Questo cosiddetto atto diffama deliberatamente la situazione dei diritti umani nello Xinjiang e attacca maliziosamente la politica cinese di governo dello Xinjiang». Gli attivisti dei diritti umani hanno stimato in almeno un milione, tra uighuri e altre minoranze musulmane, le persone internate e costrette programmi di rieducazione per eliminare le cosiddette forme di radicalismo. Pechino ha replicato che si tratta di centri di istruzione professionale che offrono una alternativa all'estremismo islamico. La Cina minaccia reazione risoluta e contromisure di cui gli Usa «sosterranno gli oneri delle relative conseguenze».
Ma non basta. Pechino vuole accelerare su Hong Kong. Secondo l’agenzia Xinhua, la controversa legge sulla sicurezza nazionale nella regione autonoma, che ha ottenuto un primo via libera dal Parlamento cinese il mese scorso, verrà discussa dal Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del Popolo, che ha cominciato oggi i lavori a Pechino. La legge, già ampiamente criticata a livello internazionale, è stata presentata nel corso della riunione inaugurale del Comitato. Il testo specificherà la definizione di quattro nuovi reati contro la sicurezza nazionale nell'ex colonia britannica e le corrispettive pene. I reati sono quelli di attività separatiste, sovversione dell'ordine statale, attività terroristica e interferenze straniere. Originariamente, la discussione della legge non era stata inclusa nell'agenda dei lavori del Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del Popolo, che si estenderanno fino a sabato prossimo. La Cina ha espresso la sua «risoluta opposizione» al comunicato dei ministri degli Esteri del G7 che chiedeva a Pechino di riconsiderare la legge. La questione di Hong Kong, ha scandito Yang, è «puramente interna" alla Cina e Pechino ha una «ferma determinazione» nell'approvare la legge sulla sicurezza nazionale nell'ex colonia britannica. «La Cina si oppone risolutamente alle parole e alle azioni degli Stati Uniti che interferiscono negli affari di Hong Kong e alla dichiarazione dei ministri degli esteri del G7 sulle questioni relative a Hong Kong», ha detto Yang.