Quindici persone, compresi sei bambini, sono morte in un'operazione delle forze di sicurezza
dello Sri Lanka nelle indagini dopo le stragi di Pasqua. Le forze di sicurezza hanno fatto un blitz alla ricerca di estremisti: dalla casa hanno sparato e tre kamikaze si sono fatti esplodere. Nessun ferito tra le forze di polizia e i soldati che hanno condotto l'operazione.
I tre uomini si sono fatti esplodere, uccidendo anche tre donne e sei bambini all'interno di quella che si credeva fosse una "casa sicura" jihadista vicino alla città orientale di Kalmunai, 370 chilometri a est della capitale. "Altri tre uomini, che si ritiene fossero anche loro dei kamikaze, sono stati trovati morti fuori dalla casa", afferma la polizia in un comunicato, aggiungendo che questi ultimi erano stati uccisi nella sparatoria. Solo una donna e una ragazzina si sono salvate dal massacro. L'attacco alla base jihadista è durato oltre un'ora. Le forze di polizia ed esercito hanno intensificato la caccia agli estremisti dopo le stragi di Pasqua.
Ieri, intanto, non c’è stata la preghiera islamica: le moschee sono state chiuse come richiesto dalla locale organizzazione degli ulema «per la necessità di proteggere le famiglie e le proprietà». Domani come ha confermato il cardinale Malcolm Ranjit, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale cingalese, non ci saranno le Messe e a ogni celebrazione religiosa è stata sospesa per un tempo indefinito. L’allarme è forte. Lo Sri Lanka si va confermando il nuovo fronte del Daesh, un «laboratorio» del contagio del movimento sconfitto in Siria e Iraq. Non più solo in Paesi a maggioranza islamica, ma in una nazione buddhista dove a essere stati colpiti sono i cristiani perché comunità pacifica e minoritaria, sfruttando la litigiosità po-litica, la faziosità religiosa e leggi inadeguate. Lo stesso presi- dente Maithripala Sirisena ha ammesso ieri che, oltre ai 76 individui già arrestati perché direttamente coinvolti nelle stragi di Pasqua, tra cui molti stranieri, sono stati finora individuati 140 islamisti legati al Daesh. “Foreign fighter”, combattenti di ritorno, elementi pericolosi. Non così, però, li considera lo Sri Lanka, tra i Paesi che non hanno adeguato le loro leggi anti-terrorismo dopo la nascita del Califfato in Siria nel 2014. Per questo, non considera reato le attività terroristiche all’estero. Di conseguenza, nessun provvedimento è stato mai preso verso chi ha combattuto altrove a favore di un’organizzazione i cui metodi sono ampiamente individuabili come crimini contro l’umanità. Quella cingalese resta perlopiù una giustizia a “doppia velocità”. Il Paese ha adottato misure draconiane per sconfiggere la guerriglia tamil e silenziare la società civile negli anni del conflitto, terminato dieci anni fa. Ora, però, non riesce a tutelare la popolazione dai rischi di una radicalizzazione di frange della comunità musulmana. Le stesse autorità cingalesi hanno riconosciuto di aver prestato poca attenzione agli avvertimenti riguardo a possibili azioni terroristiche. Dopo il ministro della Difesa, ieri, è stato silurato il capo della polizia, Pujith Jayasundara. Al di là delle singole responsabilità, le falle nella sicurezza mettono in luce l’attuale fragilità del governo, indebolito da anni di rimpasti e faide, con i vertici dello Stato in conflitto tra loro.
La sua attenzione, inoltre, è concentrata sugli interessi della maggioranza buddhista, le minoranze sono spesso trascurate. Alla fine – anche se le conseguenze saranno pesanti per tutti – nel mirino sono finite tre comunità: gli stranieri residenti o viaggiatori; i cristiani – che erano finora riusciti a restare ai margini di tensioni e violenze – ; e i musulmani. Questi ultimi, da tempo sotto pressione, ora vivono nel timore di ritorsioni. Intanto, nonostante il bilancio ufficiale sia stato abbassato a 254 morti, oltre ai 400 feriti, restano intensi la paura e il cordoglio nella comunità cattolica. «È veramente triste e straziante avere visto la devastazione avvenuta in un giorno santo come la domenica di Pasqua 2019. I fedeli cattolici partecipavano alla Santa Eucaristia nelle Chiese e sono stati colti alla sprovvista», ha dichiarato all’agenzia Fides padre Basil Rohan Fernando, direttore nazionale delle Pontificie opere missionarie in Sri Lanka. «Intere famiglie sono state sterminate; in altre solo alcuni componenti sono sfuggiti alla morte ». Aiuto alla Chiesa che soffre ha offerto il suo sostegno per la ricostruzione delle chiese colpite, per progetti di aiuto psicologico e per rilanciare il dialogo interreligioso. Ieri, dopo Israele, vari Paesi tra cui l’Australia hanno chiesto ai loro cittadini di evitare viaggi in Sri Lanka. A confermare l’instabilità della situazione, altre segnalazioni di possibili attentati e una sparatoria tra ignoti e forze di sicurezza nel distretto orientale di Ampara dove sono stati recuperati esplosivi, droni e un vessillo del Daesh.