Con i jeans sdruciti e le scarpette da ginnastica Toufik potrebbe essere uno dei tanti studenti dell’
Università Cattolica indaffarati alla ripresa degli appelli d’autunno. Solo i lineamenti mediorientali, incorniciati da una barbetta corta e il ciuffo a spazzola, tradiscono il lungo viaggio fino ai chiostri del Bramante di cui, quel rosario portato come una collana sotto la maglietta azzurra, è il discreto simbolo.
Due occhi di ragazzo siriano, ancora spaesati e certo increduli: un anno fa anche questo 19enne era in mano ai jihadisti del Daesh a Qaryatayn, la cittadina del governatoratgo di Homs, nella Siria centrale, dove la piccola comunità cristiana si raccoglieva attorno al monastero di Mar Elian e al parroco, padre Jacques Murad. Poche decine di famiglie cristiane, per alcuni mesi deportate fra Raqqa e Palmira e dopo la liberazione il 12 ottobre del sacerdote della comunità di Mar Musa, fatti rientrare fra le case e l’antica chiesa di Mar Elian distrutte dalla guerra civile.
«All’inizio pensavamo che fosse una messa in scena invece...», sussurra appena dei giorni passati in mano al Daesh. Una ferita che non vuole ricordare apertamente mentre con lo sguardo fisso ti spiega, molto semplicemente, perché ha scelto di frequentare la facoltà di Agraria dopo aver frequentato il primo anno di ingegneria a Homs: «Abbiamo dei terreni di famiglia: vorrei tornare e avviare una azienda agricola. Del resto aiutavo già mio padre che ha un negozio». Detenuto con Toufik Aldallol e i genitori, pure un fratellino di 10 anni che nell’incoscienza dell’infanzia giocava con i sequestratori ed era a detta di padre Jacques «il più coraggioso di tutti noi».
Briciole di
Siria, strazio di una comunità, dolore della peggiore guerra dei nostri giorni accolti come una eredità da trasformare in speranza: un primo incontro al Policlinico Gemelli di Roma fra padre Jacques Murad, dove era ricoverato per un intervento cardiaco, e il rettore dell’
Università Cattolica. Subito quell’insopprimibile, naturale pensiero nel cuore del religioso: servono delle borse di studio per i giovani, per costruire un futuro. Il 28 aprile il secondo faccia a faccia fra il sacerdote
siriano e il professore Franco Anelli: «Abbiamo parlato della situazione della comunità cristiana ed è stato naturale immaginare cosa poter fare per essere di qualche utilità in questa situazione», spiega il rettore. Un’idea capace di sfidare distanze e mobilitare diverse istituzioni: cinque ragazzi cristiani siriani legati alla comunità monastica di Mar Musa saranno ospitati dall’
Università Cattolica per il conseguimento di una laurea triennale. L’università si impegna a sostenere, oltre che i costi delle rette di iscrizione, pure il posto gratuito nei collegi di Milano o Piacenza e una borsa di studio per l’acquisto del materiale didattico. Una rete d’accoglienza a tutto tondo con un gruppo di famiglie selezionate dal Coordinamento diocesano delle associazioni, movimenti e gruppi della diocesi di Milano che accompagneranno i ragazzi siriani nel loro percorso di integrazione non solo universitario.
Un progetto inventato in pochissime mesi a fronte della «complessità incontrata pur operando su piccolissimi numeri», spiega il rettore Anelli, ma che potrebbe essere un «modello» replicabile pure da altre università.
Un piccolo miracolo diplomatico, con i cinque visti d’ingresso per motivi di studio ottenuti a tempo di record presso l’ambasciata italiana a Beirut dove è ospitata quella siriana: il 29 agosto, quattro mesi dopo il concepimento del progetto, tutto era pronto per la partenza in Italia. L’ultimo ostacolo il viaggio fino a Beirut, attraversando un Paese in guerra.
Così la “little Qaryatayn” d’Italia ora ha il volto di cinque “matricole” della Cattolica, selezionati dalla comunità monastica di Mar Musa e dai gesuiti
siriani. Un distacco difficile per Nour Makhoul, 19 anni, che ha frequentato la scuola secondaria ad Hama: «Troppo pericoloso quest’anno andare a scuola. Mio padre e mio fratello sono stati presi», afferma frenando a stento le lacrime. Frequenterà scienze della formazione. Ola Alwaw, 29 anni di
Homs, con una laurea in informatica, frequenterà Scienze della comunicazione: «Quando tornerò in Siria vorrei cambiare qualcosa perché i media descrivevano una realtà, mentre io ne vivevo una diversa», spiega. Con una laurea in legge, Kenan Kebbah, 26 anni, di
Aleppo stava frequentando un Mater alla Sain Joseph university di Beirut. A Milano frequenterà scienze politiche. Il più baldanzoso è Fadi Albitar, portiere professionista del Al Wathba di
Homs, e allenatore dei ragazzi nei campi profughi: «Il mio modello è Buffon. Mi piacerebbe incontrarlo». Frequenterà scienze della formazione, con indirizzo in scienze motorie.