sabato 19 agosto 2017
L'arcivescovo di Barcellona: è un attacco alla nostra metropoli cosmopolita. «Chi usa l'islam per uccidere non è religioso»
Il cardinale Omella

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«La distruzione non è religione e non viene da Dio». Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona, creato cardinale nell’ultimo concistoro da papa Francesco, è provato da quanto è successo nella sua città, della quale è vescovo da due anni. «È terribilmente tragico vedere come in un attimo si distrugge una vita per mano di terroristi che non si sa quello che hanno nella testa» commenta a caldo l’arcivescovo catalano ad Avvenire subito dopo il suo ritorno in Curia dall’Hospital del Mar e da quello di San Pablo dove ha visitato i feriti e i familiari delle vittime dell’attentato sulle Ramblas. E su quanto è accaduto ancora una volta in una metropoli europea la sua riflessione è accorata.

Eminenza, per una città come Barcellona cosa significa quel che è accaduto?

Barcellona è una città molto aperta, multietnica e multiculturale, e da sempre una grande meta turistica. Noi conviviamo nell’ordinarietà in un contesto storicamente cosmopolita. Un attentato come quello sulle Ramblas, nel cuore della nostra città, ci lascia un interrogativo: perché? Perché questo? Perché proprio qui è venuta a deflagrarsi questa tragedia, questa mancanza di fraternità, di rispetto dell’altro?

Si è voluto colpire ciò che Barcellona rappresenta?

Ogni atto terroristico è senza motivo, e tanto meno ha motivo che simili atti siano compiuti nel nome di una religione, in nome di Allah: perché sappiamo che Dio, Allah è misericordia, perché Dio è Dio della pace e della misericordia, e religione vuol dire cammino di fraternità e di costruzione di pace, non di morte e distruzione.

Si tratta però di un altro attentato di matrice jihadista. E la religione c’entra, o no?

Io dico sempre che una cosa è essere musulmani, fedeli discepoli di Allah, altra cosa è essere terroristi. Bisogna distinguere. Il terrorista può utilizzare il nome della religione musulmana ma non è un religioso perché attenta alla vita stessa del musulmano e attenta alla religione, alla vita religiosa. Non è umano e non è religioso. Certamente questi gruppi jihadisti sono stati organizzati, come dimostra anche il secondo attentato a Cambrils, città costiera della Catologna, programmato per scatenare panico e morte.

Cosa ha raccolto nelle sue visite ai feriti e ai loro familiari negli ospedali?

All’Hospital del Mar ho parlato con un padre di famiglia che mi ha raccontato come sua moglie e suo figlio erano sulle Ramblas, e la sua vita in attimo è stata distrutta. Lui stava lavorando, l’hanno chiamato dall’ospedale: suo figlio di 11 anni è morto, sua moglie è gravissima. Ho ascoltato anche le storie di tanti che si sono trovati su quella strada...

Lei ha già incontrato i rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali. Sono state concordate iniziative comuni per rispondere a questi attacchi?

In plaza Catalunya noi vescovi ci siamo trovati insieme alle autorità governative e politiche per un incontro pubblico con la popolazione al quale sono stati presenti anche il presidente del Consiglio e il re di Spagna. Dopo il silenzio per le vittime, spontaneamente tutti insieme abbiamo cantato «Nos no tenemos miedo», noi non abbiamo paura. Con il primo ministro è prevista a una riunione. Noi come vescovi e come cittadini abbiamo la responsabilità di far recuperare la speranza. Domenica (domani, ndr) celebrerò la Messa per tutte le vittime e il loro familiari nella basilica della Sagrada Famiglia. Pregheremo per la pace chiedendo al Signore che cambi il cuore di pietra di questi terroristi e li trasformi in cuori di carne, perché si convertano da costruttori di morte a costruttori di pace.

Qual è il suo messaggio per i fedeli cattolici?

Non dobbiamo lasciarci strangolare dalla paura. La nostra fede deve costruire la convivenza e la pace, con le porte aperte a tutti. Noi tutti facciamo parte della medesima casa comune che è la terra. Siamo di differenti razze, culture e religioni ma tutti siamo fratelli, e siamo chiamati a costruire la fraternità nel mondo.

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