Fra George Sabe, marista di Aleppo
Ricominciare, dopo che una ferita ha segnato il corpo e di certo, a tutti, ha paralizzato l’anima. Ricominciare e scoprire che «anche un mondo ferito si può colorare di speranza». In Medio Oriente c’è chi la guerra l’ha vista materializzarsi un giorno sotto casa, chi è divenuto profugo e chi, nello sforzo di accogliere, ha visto la vita cambiare. Per questo le Ong del consorzio Humanity (Ass. Realmonte, Celim, Engim, Fondazione Buon Pastore, Fundacion Promocion Social, FMSI, Punto Missione) con Focsiv rilanciano per il terzo anno la sfida: «Ricominciamo da loro», da chi si trova in un campo profughi, in una scuola nei container, o in una città distrutta. A fianco di chi è stato ferito, i cooperanti di Focsiv, vogliono accompagnare l’uscita dalla prima emergenza e creare le condizioni per tornare a casa. Ricominciare. E ricostruire. Qui tutti gli aggiornamenti sulla campagna.
«Siamo radicati in una storia quasi millenaria perché la cristianità ad Aleppo risale quasi al tempo degli apostoli. Una storia millenaria testimoniata, nella regione tra Aleppo, Idlib e Afrin, da ben 700 siti cristiani risalenti al XI, XII e XIII secolo. Come cristiano di Aleppo, posso dire che la mia famiglia è cristiana da più di 1.300 anni, cioè da prima dell'arrivo dell'islam in Siria», spiega fra George Sabe.
Prima della guerra, prosegue il frate marista nel salottino del collegio Champagnat di Aleppo, «essere cristiano ad Aleppo era come vivere in un mondo musulmano, ma anche in una diversità di comunità: i cattolici, gli ortodossi e i protestanti». Sono sei le comunità cattoliche, tre quelle ortodosse e alcune comunità protestanti, segno di una forte complessità. «C'era una cultura della pace e dell'apertura all'altro e all'Occidente. Vivevamo una speranza: essere radicati nella terra, il Medio Oriente, la terra del monoteismo, ma anche la terra che Gesù ha amato».
Una identità molto complessa, quella dei cristiani di Aleppo prima della guerra. Come sopravvive oggi?
Oggi forse siamo testimoni della fine della cristianità nel Medio Oriente e nella città di Aleppo. Ma sarebbe un peccato, perché senza i cristiani la Siria non sarà più la Siria e senza i cristiani d'Oriente la Chiesa avrà perso uno dei suoi due polmoni. Il silenzio che regna ora nei quartieri cristiani di Aleppo rappresenta la sofferenza, la morte e forse la disperazione di una cristianità che ora i grandi del mondo vogliono ridurre al silenzio.
C'era un crocifisso della cappella del collegio dei gesuiti di Aleppo crivellato di colpi e senza braccia, perché posto tra di due fronti: esercito e ribelli. Un simbolo della situazione della vostra comunità cristiana?
Non ci si cercava di distruggerci in quanto cristiani, ma noi abbiamo pagato troppo caro il fatto di essere nel mezzo dei combattimenti. Quando al-Nusra era ad Aleppo noi eravamo minacciati realmente perché poteva attraversare il fronte e far partire i cristiani dai loro quartieri. «Essere nel mezzo» è fortemente simbolico perché, in fin dei conti, il cristiano è l'uomo che tende una mano a l'uno e all'altro come Cristo. Ma può accadere che l'uno o l'altro non vogliano che gli si tenda la mano, che vogliano spezzare quella mano. Vogliamo essere un ponte e vogliamo come cristiani portare il saluto di pace del Risorto. Ma può essere che non ci si voglia più, come testimoni e come mediatori.
La campagna Humanity è sulla resilenza: cosa significa, per la vostra comunità, essere resilienti?
Significa, in primo luogo, essere un orecchio che ascolta la sofferenza della popolazione, cristiana o musulmana. Non possiamo restare indifferenti alla sofferenza degli altri. Non possiamo dire: servo solo la mia comunità. Essere resilienti è aprire il cuore all'altro e così si diventa creativi. Le pietre cadute per terra si possono togliere. Ma prima si deve risuscitare l'uomo, educarlo alla pace, al rispetto del diverso da me ed educarlo alla speranza. Bisogna essere creativi, osare lanciare dei progetti perché l'uomo sia indipendente, abbia autostima. Per questo vogliamo formare i nostri operatori alla resilienza: un cammino per guadagnare un giorno la pace.
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