Donald Trump insiste: il rapporto di Robert Mueller, finalmente reso pubblico, anche se con molti omissis, rappresenta un competo esonero da «ogni sospetto di collusione con la Russia » o di intralcio alla giustizia. Il Cremlino gli dà ragione, sostenendo che il documento non contiene «un singolo elemento di prova» dell’intervento di Mosca nelle elezioni degli Stati Uniti. E la portavoce del presidente Usa, Sarah Huckabee Sanders, nella bufera dopo aver ammesso di aver mentito nel corso dell’inchiesta, rimane ferma nel sostenere che il suo capo è stato «completamente scagionato» da Mueller. Ma 24 dopo l’uscita delle 448 pagine di documento, risultato di quasi due anni di indagine, la maggior parte degli ana-listi, anche repubblicani, e dei media Usa sono d’accordo che il ritratto che ne emerge apporta un danno enorme alla presidenza. Gli aggettivi usati ieri dai principali osservatori politici per parlare del capo della Casa Bianca, da opinionisti a storici della presidenza, sono infatti impressionanti. «Disonesto». «Irascibile». «Vendicativo». «Bugiardo». «Inaffidabile». «Paranoico ».
Abituato a comportamenti illegali. Peggio di Richard Nixon, il presidente che si dimise nel bel mezzo di una procedura di impeachment. A fare quest’ultimo paragone non è stato un leader dell’opposizione, ma George Conway, avvocato conservatore e marito di Kellyanne Conway, consigliera di Trump, certo che da un punto di vista legale le conclusioni del rapporto del procuratore speciale sono «schiaccianti » e presentano un quadro persuasivo per l’impeachment. Non è il solo ad avere tali convinzioni. Vari accademici, come Frank Bowman III dell’Università del Missouri, sostengono che le rivelazioni di Mueller dipingono tre anni di governo che «minano le fondamenta stesse del sistema americano, dalla natura sacrosanta delle elezioni democratiche all’idea che nessun uomo, nemmeno il presidente, è al di sopra della legge ».
Ma l’affondo più pesante è quello della stampa Usa. Se non sorprende il New York Times, che definisce Trump «disonesto » in un titolo di prima pagina (non un editoriale), è interessante che anche media conservatori, come il Wall Street Journal, elenchino tutti gli sforzi fatti dal Commanderin- chief per far deragliare l’inchiesta di Mueller o, come Fox News, sottolineino che il presidente si è abbassato ad usare un linguaggio profano per respingere le accuse del procuratore. In effetti ieri Trump sembrava aver perso il controllo di sé. In una serie di messaggi su Twitter infarciti di parolacce, ha definito Mueller «folle» e il documento una serie di menzogne costruite da persone che lo odiano per «fargli fare brutta figura». Un tweet è troncato a metà, con una frase lasciata in sospeso. È difficile dire se le indagini che i democratici avvieranno in Congresso condurranno a qualcosa di concreto, ma è certo che, dopo l’uscita del rapporto Mueller, Trump può solo sperare nella relativa distanza delle elezioni (oltre un anno e mezzo) e nella memoria corta degli americani per ottenere un secondo mandato alla Casa Bianca.
L’opposizione sembra infatti propensa a lasciare che siano gli elettori a decidere se l’uomo che siede nello Studio ovale sia idoneo a restarci. Ieri, ad esempio, nel pieno della bufera, Joe Biden, ex vice di Barack Obama, ha fatto sapere che annuncerà la sua candidatura alla Casa Bianca per il 2020 mercoledì prossimo. Il nucleo della sua campagna è l’idea di «riprendersi il Paese», che, è implicito, sarebbe caduto nelle mani di persone non qualificate a tenerne le redini.