A volte ritornano. O minacciano di ritornare. Come preannuncia il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov quando afferma: «L'uso da parte di Kiev di missili di Paesi Nato nei bombardamenti sulla Russia non rimarrà senza conseguenze per l'Occidente», chiosando la dichiarazione fatta da Vladimir Putin sulla risposta asimmetrica di Mosca: «Se qualcuno pensa che sia possibile fornire tali armi a una zona di guerra per colpire il nostro territorio e crearci problemi, allora perché non abbiamo il diritto di fornire le nostre armi della stessa classe a quelle regioni? Per questa ragione la Russia fornirà missili a parti terze per colpire obiettivi sensibili dei Paesi Nato».
«Parti terze». Obliqua allusione che dice tutto e niente. A ragion di logica, escludendo l’exclave di Kaliningrad (che è parte della Russia), solo la Bielorussia, che confina con Ucraina, Polonia, Lituania e Lettonia può considerarsi «parte terza». Ci sarebbero a ben vedere anche la Corea del Nord e l’Iran, ma qui usciamo dalla risposta asimmetrica e entriamo a piedi uniti nella Terza guerra mondiale. E la prima a scongiurarne l’ipotesi è la Nato stessa: «L’Alleanza Atlantica – dice il segretario uscente Jens Stoltenberg - non ha intenzione di schierare forze in Ucraina. L'idea che vi sia una sorta di countdown per la prossima guerra è sbagliata. Siamo lì per evitare che ciò accada. Lo facciamo da 75 anni, lo faremo per almeno altri 75 anni».
Sospesi in questa nebulosa fra detto e non detto non possiamo non tornare con la memoria a quel palcoscenico che quarant’anni fa veniva considerato il teatro delle operazioni in caso di conflitto nucleare fra la Nato e il Patto di Varsavia. Il “Teatro” eravamo noi europei e l’Europa, appunto, sarebbe stato il campo di battaglia dove Unione Sovietica e Stati Uniti avrebbero regolato i loro conti lontano da casa. E così «missili di teatro» vennero chiamati i vettori a corto e medio raggio dispiegati nel teatro europeo: i famigerati Pershing e Cruise con testata nucleare e gittata superiore a 500 chilometri, che l’Alleanza Atlantica schierava di fronte agli SS-20 sovietici.
Armi studiate appositamente per risolvere un’eventuale controversia nucleare nel cortile di casa nostra, senza impegnare i missili balistici delle due superpotenze. Anche l’Italia vi prese parte, con i missili Cruise schierati dal 1983 al 1991 nella base Nato di Comiso. Sono passati quarant’anni e stiamo per tornare a quella pericolosa casella di partenza del grande risiko mondiale: un’Europa (pardon: una Nato) in armi da una parte, una Russia che già possiede il primato nelle testate nucleari e ora disloca vettori, tappa le falle, scava trincee irte di missili per meglio proteggere i propri confini demandando a “terze parti” i compiti di rappresaglia. Come se quella “Opzione zero” che diede vita nel 1987 al Trattato Inf (Intermediaterange Nuclear Forces) siglato da Ronald Reagan e Mikhail Gorbacev che prevedeva la totale eliminazione degli “euromissili” di entrambe le superpotenze fosse carta straccia, buona soltanto per i manuali di storia. Ma, come si vede, a volte ritornano. Gli imperialismi, la dissennata corsa agli armamenti, il fantasma di un mondo sotto l’ombrello nucleare. E il teatro europeo, con i suoi missili, rischia di riaprire i battenti.