sabato 18 giugno 2016
​La prima tappa nella città turca, dove cercano di sopravvivere i fuggiaschi della guerra in Siria. La Chiesa li assiste come può, mentre decine di tombe di profughi annegati nell'Egeo attendono un nome / FOTO (di Gilberto Mastromatteo)
Il sogno dell'Europa si ferma a Izmir
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IZMIR – Il suv nero svolta all’interno di un vicolo chiuso. Dall’auto scende l’autista turco assieme a sei ragazzi africani. Ognuno porta con sé una busta di plastica, stretta tra le mani. Nel giro di pochi secondi tutto il gruppo svanisce dietro una porta. “Erano smuggler, trafficanti di uomini”, sorride Yalçın Yanık, ago e filo in mano e gli occhiali calati sul naso, mentre ci accoglie all’interno del suo atelier, nel quartiere di Basmane, a Izmir. “Qui ce ne sono ancora molti – rivela – raggiungere Lesvos o Chios resta relativamente semplice. Basta affidarsi ai trafficanti locali. Oppure pagare un pescatore”. Yalçın è un afro-turco. È nato ad Aydin, a un centinaio di chilometri da Izmir. Ma discende dagli africani che, nel corso dell’Ottocento, venivano condotti come schiavi nell’Anatolia Egea, comprati dai notabili Ottomani.

Yalçın Yanık nel suo laboratorioOggi anima un’associazione che tenta di ricostruire il passato degli afro-turchi. Ma è soprattutto un punto di riferimento per la cospicua comunità di migranti, specie siriani, che attende a Izmir, con l’obiettivo di raggiungere l’Europa. “Continuano ad arrivare – spiega Yalçın – anche se con meno intensità rispetto al passato. Noi cerchiamo di aiutarli nei bisogni quotidiani: il cibo, i vestiti. Soprattutto cerchiamo di dissuaderli dall’affrontare il mare”.

Izmir, la prima tappa del nostro viaggioPrima dell’accordo della discordia tra Unione europea e Turchia, le partenze verso le isole greche dell’Egeo erano 1.740 al giorno. Lo scorso mese di maggio hanno raggiunto un totale di 47. Arrivi quasi azzerati, dunque. Ma non del tutto. Stesso discorso per i “respingimenti”. Da aprile a oggi, si è fermato a quota 462 il numero totale dei migranti riportati in Turchia, in base agli accordi tra Bruxelles e Ankara. A pesare è l’impasse sulla questione dei visti per i cittadini turchi tra Recep Tayyip Erdogan e Angela Merkel. E le critiche fioccano. Dopo Amnesty International e l’Autorità greca per i rifugiati, l’ultima denuncia in ordine di tempo arriva da Medici senza Frontiere. “Non accetteremo più fondi Ue finche sarà in piedi quell’accordo” la decisione del segretario generale Jerome Oberreit. “L’Unione europea non si sta comportando in maniera onesta – commenta Yalçın – potrebbe certamente trovare una maniera per salvare la vita delle persone. Ma non vuole farlo. Per questo ha stretto quell’accordo con il governo turco”. All’ingresso dell’atelier si è già radunato un capannello di donne siriane. Basmane è il rione dove più alta è la concentrazione di famiglie provenienti dal Paese dilaniato dalla guerra civile ormai da un lustro. Nel piccolo corridoio, Fatima tiene in braccio un bambino di pochi mesi. L’altro, appeso alle gonne, non smette di piangere. Vengono da Aleppo. Suo marito è disabile, non può camminare. “Viviamo qui a Izmir da un anno e mezzo – racconta – siamo arrivati insieme ai miei cognati. Loro sono riusciti ad arrivare in Germania, dopo aver attraversato l’Egeo. Noi non lo faremo. Il mare è troppo pericoloso. Chissà, magari passeremo per una via terrestre”. Sui trafficanti di esseri umani non ha dubbi. “Non li condanno – dice – aiutano chi è disperato come noi ad andare in Europa. Sono i governi europei che hanno la colpa di tutto questo”.

La casa di Nour a Basmane Il cuore pulsante di Basmane è un dedalo di vicoli. Nour Oghli viene da Damasco e vive qui da un paio di mesi. In Siria studiava per diventare una criminologa. I suoi 26 anni li ha trascorsi su una sedia a rotelle, per via di una malattia degenerativa che non le permette di camminare. Assieme a sua madre e suo fratello ha deciso di andarsene all’inizio dell’anno. Prima qualche settimana a Qamishli, al confine tra Siria e Turchia. Poi l’attesa e i tentativi di attraversare l’Egeo, da Didimo verso l’isola di Farmakonissi e da Dikili alla volta di Lesvos. “Siamo naufragati tre volte – testimonia Nour – due a Didimo e una a Dikili. Per tre volte mi sono trovata in acqua, senza controllo sul mio corpo. Ogni volta credevo fosse finita per me. Poi arrivava la Guardia Costiera e ci riportava a riva”.

Nour OghliIl telefono squilla, sul display compare un cuore. Nour risponde e sorride: “È una mia amica di Damasco – dice – ora si trova in Serbia, nel campo di Presevo. Ma anche lei è bloccata. È stanca, dice che vuole tornare indietro, a casa sua”. Ormai la tendenza riguarda centinaia di persone. Specie coloro che si trovano in Grecia, da mesi, senza alcuna certezza sul proprio futuro. La piccola chiesa a croce greca di Agia Foteini, nel cuore di Izmir, è un punto di riferimento per molti migranti cristiani. Siriani per lo più, ma anche eritrei, iracheni, iraniani e afghani.

Padre Kyrillos Sykis“Cerchiamo di aiutarli, offrendo loro cibo e vestiario” spiega padre Kyrillos Sykis, che di Izmir è l’archimandrita greco-ortodosso. La sua diocesi comprende Pergamo, Efeso, Izmir, Dikili, Ayvalik e Balikesir. Antichi luoghi di evangelizzazione e nuovi scali migratori, divenuti l’ultima sponda per chi ancora tenta di approdare in Europa.

La chiesa di Agia Foteini“Sono sempre di più le famiglie che tornano indietro dalla Grecia – spiega padre Kyrillos, originario di Mitilene – noi cerchiamo di fare tutto il possibile per aiutare i migranti che sono qui ad ottenere un regolare visto per i Paesi europei dove vogliono arrivare. Ci occupiamo della via legale. Ma c’è anche l’altra, quella illegale, la via del mare. I morti sono stati troppi. Quelli di religione cristiana li abbiamo seppelliti a decine nel nostro camposanto”.

Il cimitero di DogancayUna tragedia che non ha religione. Nel cimitero islamico di Dogancay, il più grande di Izmir, sono oltre 400 i migranti sepolti. Annegati durante la traversata e condotti qui. Un terzo delle tombe non ha ancora un nome.

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