sabato 6 aprile 2019
Si torna a partorire all'ospedale, ma la chirurgia è ancora in emergenza. Ancora troppe ferite in una città in macerie, ma a piazza Niama, dove avvenivano le esecuzioni di massa, si torna a giocare
Giochi d'acqua a piazza al-Niama, dove il Daesh faceva le esecuzioni di massa (Cristian Gennari)

Giochi d'acqua a piazza al-Niama, dove il Daesh faceva le esecuzioni di massa (Cristian Gennari)

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«Diffondevano il terrore perché non sopportavano nessuna opposizione: se li smentivi anche solo con una parola, ti uccidevano. Se trasgredivi un precetto religioso, o una loro legge, rischiavi la vita ed eri subito considerato un oppositore dell’islam. Una dottoressa, che entrò in ospedale con il capo scoperto, venne immediatamente picchiata. Se eri sorpreso a fumare, finivi in prigione. Uccidevano chiunque avevano davanti solo per il gusto di terrorizzare».

Il Daesh, visto da vicino, è nella voce calma e il volto pacioso di Aiman Hasun, un medico poco più che quarantenne dell’ospedale pediatrico di Raqqa . «Durante il loro dominio ho continuato a lavorare, eravamo costretti con le armi. Siamo rimasti solo in 5 medici, mentre altri 10 sono scappati nei primi mesi di dominazione. Rimpiazzati da giovani, tutti privi di esperienza», prosegue il dottor Hasun. Il governo dell’Esercito libero siriano fu una parentesi di soli sei mesi, che si concluse in uno scontro fra moderati e islamisti. «I jihadisti non erano guidati da capi siriani: venivano quasi tutti da fuori e avevano alle spalle venti anni di combattimento in Afghanistan, o in altri fronti caldi. Se poi finivi in mano ai loro servizi di sicurezza al 90 per cento eri ucciso».

Una vera “internazionale del terrore”, materializzatasi anche all’interno dei reparti ospedalieri, con gli uomini del Daesh che «riuscivano ad avere presa sui giovani. Quelli che ci comandavano erano quasi tutti stranieri. Chi li seguiva, fra gli abitanti di Raqqa, aveva tra i 18 e i 20 anni. Molti di loro, dopo un lavaggio del cervello, sono morti in battaglia: anche alcuni miei parenti si sono uniti al Daesh, trovando quella sorte». Il dottor Hasun sta visitando un bimbo nato da appena due ore: serve una lastra per verificare se c’è un piccolo problema alle anche, spiega alla nonna che trova la forza di sorridere. La vita continua, non senza fatica: «Ora la situazione sanitaria è migliorata rispetto a 3 o 4 mesi fa, perché molti reparti hanno ripreso a lavorare. Quando finì l’occupazione del Daesh era attivo solo il pronto soccorso. Adesso le maggiori carenze sono nella chirurgia, ma speriamo che presto siano risolte con l’apertura di un nuovo ospedale di Medici senza frontiere. Ora, soprattutto, c’è bisogno di assistenza fra la popolazione più povera». La vita riprende, in un ospedale completamente ristrutturato grazie ai fondi della Cooperazione italiana, di “Un ponte per” e della Mezzaluna rossa curda. Tuttavia la guerra civile ha lasciato la sua pesante eredità fra i bambini: «Ci sono traumi psicologici, rari casi di autismo e di leishmaniosi. E soprattutto, a causa di un vuoto nei vaccini, alcuni casi di meningite», spiega il pediatra. Una situazione non ancora sotto controllo, ma Hasun ne è certo: «Non andrò mai a lavorare all’estero. La maggioranza dei medici ha lasciato la città, ma la mia famiglia è a Raqqa e io voglio restare qui».

Far voltare pagina a Raqqa è il lavoro quotidiano di Sena Hassan al-Hamad, la copresidente del Consiglio civile di Raqqa: infermiera di 24 anni, già vedova di un “martire” delle Forze democratiche siriane e madre di un bambino di due anni. Dipendono da lei 450 impiegati e operai assunti con contratti mensili: «Quando la municipalità ha riaperto, erano rimasti solo una decina di dipendenti e abbiamo lavorato tutti, come volontari, per 4 mesi». Un “sindaco ragazzina”, per una città dove «ogni famiglia ha un martire o qualcuno amputato a una gamba per una mina, lasciata fra le macerie. La distruzione è ovunque: molte scuole sono state rase al suolo e una intera generazione non ha potuto essere alfabetizzata», dice con voce lieve. Un “sindaco ragazzina”, per affermare che «come insegna Ocalan non c’è differenza tra uomo e donna. Per questo abbiamo aperto una accademia per insegnare alle donne a gestire anche le questioni amministrative». Una vera rivoluzione essere ora nell’ufficio della municipalità, per una vedova di 24 anni che, durante l’occupazione del Daesh, era fuggita con la sua famiglia in una fattoria a 15 chilometri dalla città e poi ha bivaccato per 5 mesi in un campo come rifugiata. «Se Raqqa era nota per essere la capitale del Califfato, in futuro sarà la capitale della cultura e dello sviluppo», dice con un sorriso. Fuori dai palazzi della municipalità solo macerie, dopo il terrore del Daesh e le bombe della coalizione internazionale e la battaglia casa per casa, come in un immenso campo profughi.

Intanto Ibrahim, 14 anni, alla periferia di Raqqa, apre una applicazione premendo con il naso sullo schermo del cellulare. «Sono venuti solo per uccidere e distruggere. Hanno reso la mia vita miserabile. E ci sono molte persone che vivono così adesso», dice seduto sul pavimento di casa il padre, Ahmad al-Ali. «Siamo rientrati da Qamishlo dove ci eravamo rifugiati, il primo febbraio del 2017». Alcuni giorni dopo, il 18 febbraio, Ahmad stava dormendo in casa mentre Ibrahim giocava nel cortile con il fratello Hussein, 12 anni, e la sorellina Bayran, 6 anni. «Avevano trovato una cintura e si sono messi a giocare: era piena di esplosivo. Un botto tremendo e le schegge a danneggiare la parete fino al tetto». Ibrahim ha perso entrambe le mani, Hussein quella sinistra, Bayran la destra e un dito della sinistra. «Non è stato un incidente. Andandosene volevano fare del male», afferma Ahmad. La municipalità gli ha pagato il viaggio fino a Damasco, ma per una protesi per Ibrahim ci vorrebbero 10mila euro. «Per il futuro spero nella pace e in una mano artificiale per Ibrahim», conclude Ahmad con le lacrime agli occhi. Uscendo da Raqqa un gruppo di bambini, con una festa di schizzi, batte le mani nella fontana di Dawar al-Niama, la rinata «Piazza della grazia». Tre vasche sono state appena costruite sul luogo dove il Daesh compiva le esecuzioni di massa: Nawar al-Niqma, la «piazza della maledizione» come la chiamavano fino all’ottobre del 2017, almeno per questi bambini è stata cancellata.

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