Calano le esecuzioni nel mondo - Amnesty International
Per Amnesty International «la domanda non è se la pena di morte verrà abolita nel mondo, ma quando». Le esecuzioni calano - 690 nel 2018, 654 l'anno scorso, il 5% in meno - e i Paesi che non uccidono detenuti sono la stragrande maggioranza. Quelli che l'hanno abolita dai loro ordinamento per tutti i reati sono 106, altri 142 l'hanno abolita di fatto, mentre a far lavorare il boia sono rimasti solo in 20. Progressi continuano a registrarsi in numerosi paesi dell'Africa subsahariana, segnali positivi anche dagli Stati Uniti e dal Giappone. Chi continua spesso lo fa in segreto, consapevole dell'indifendibilità della pena capitale. Drammatica la situazione in Arabia Saudita, Iraq, Sud Sudan e Yemen, che hanno fatto registrare un’impennata nelle esecuzioni. Gli omicidi di Stato sono usati spesso come strumento di repressione politica, come in Iran e Cina.
Esecuzioni al minimo da 10 anni - Amnesty International
«La pena di morte è una pena disumana e ripugnante e non esistono prove attendibili che essa scoraggi i reati più della pena detentiva. La vasta maggioranza dei paesi lo riconosce e vedere che le esecuzioni continuano a diminuire in tutto il mondo è incoraggiante - dichiara Clare Algar, direttrice di Amnesty International per la ricerca e l’advocacy - tuttavia vi è un numero limitato di paesi che, in controtendenza, ha fatto sempre più ricorso alle esecuzioni. In Arabia Saudita è stata utilizzata anche contro i dissidenti politici. Sconcertante l’enorme aumento di esecuzioni registrato in Iraq, quasi raddoppiate in un solo anno». I cinque paesi con il maggior numero di esecuzioni nel 2019 sono Cina (migliaia), Iran (almeno 251), Arabia Saudita (184), Iraq (almeno 100) ed Egitto (almeno 32). Altri paesi con numeri alti, tra i quali Iran, Corea del Nord e Vietnam, hanno continuato a nascondere il loro pieno ricorso alla pena di morte limitando l’accesso alle informazioni in merito.
Aumenti delle esecuzioni in una minoranza di Paesi
Sono solo 20 i paesi responsabili del numero totale di tutte le esecuzioni nel mondo. L’Arabia Saudita ha messo a morte 184 persone, 6 donne e 178 uomini: poco più della metà erano cittadini stranieri. Nel 2018 erano state 149. La maggioranza delle esecuzioni era connessa a reati di droga e omicidi. Tuttavia, Amnesty International documenta l’aumento del ricorso alla pena di morte come arma politica contro i dissidenti dalla minoranza musulmana sciita dell’Arabia Saudita. Il 23 aprile 2019 c’è stata un’esecuzione di massa di 37 persone, 32 delle quali erano sciiti condannati per “terrorismo” dopo processi basati su confessioni estorte sotto tortura.
Una delle persone messe a morte il 23 aprile era Hussein al-Mossalem. Aveva ferite multiple, naso, gamba e clavicola fratturati percosse con manganello elettrico e altre forme di tortura. È stato processato dal Tribunale speciale creato nel 2008 per giudicare i reati di terrorismo, sempre più spesso utilizzato per mettere a tacere il dissenso.
Abolizione globale a portata di mano
Ci sono anche passi indietro. Nelle Filippine tentativi di reintrodurre la pena di morte per “reati efferati legati a sostanze stupefacenti e frodi”. Lo Sri Lanka tenta di riprendere le esecuzioni in oltre 40 anni. Il governo federale statunitense ha anche minacciato di riprendere le esecuzioni dopo quasi 20 anni dall’ultima. «Dobbiamo continuare a tenere alta l’attenzione verso l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo», dichiara Clare Algar: «Chiediamo a ogni singolo stato di abolire la pena di morte e di esercitare una pressione a livello internazionale sui pochi che ancora applicano questa pratica disumana».