Il sottomarino nucleare russo "Kazan" arriva all'Avana, Cuba - Ansa
Il G7 è pronto a partire, il presidente russo Vladimir Putin ha preso il largo con le sue aspirazioni neo-imperiali già da tempo, e l’Ucraina non cede: la notte scorsa è anche riuscita ad abbattere un missile ipersonico di Mosca. Ma al Cremlino sembrano tranquilli, forti di un risultato europeo che, anche grazie alla massiccia campagna di disinformazione orchestrata dalla Russia, ha visto guadagnare forze politiche che guardano a Mosca con favore. E, per mettere ancora più pressione sull’Occidente, avvia iniziative che richiamano un passato che molti davano per chiuso e che invece per Putin è più vivo che mai.
L’ultima, in ordine di tempo, è la missione a Cuba di tre navi russe e un sottomarino a propulsione nucleare. Sono arrivate a destinazione mercoledì 12 giugno entrando nel porto dell’Avana, e si preparano a condurre esercitazioni militari nel mare dei Caraibi, davanti alle coste degli Stati Uniti. Una situazione che, con i dovuti distinguo, ricorda la crisi missilistica cubana del 1962 e che viene utilizzata da Mosca come arma di pressione psicologica in un’ottica di guerra non lineare non solo verso i governi, ma soprattutto verso l’opinione pubblica, in modo da fomentare proteste all’interno dei singoli Paesi e orientarne le scelte di voto come successo in occasione delle ultime europee.
L’Avana ha sottolineato che nessuna delle imbarcazioni trasporta armi nucleari, nonostante ne abbiano la capacità. Ma il sottomarino nucleare Kazan è quello che ha attirato l’attenzione anche di Washington, perché in grado di lanciare missili da crociera Kalibr con gittata fino a 2.500 chilometri. Washington ha dichiarato che «le esercitazioni non rappresentano una minaccia diretta per gli Stati Uniti, ma osserverà comunque la situazione con grande attenzione, e il sottomarino Kazan verrà tenuto d’occhio da due cacciatorpedinieri e da altre due navi dotate di sonar. L’atteggiamento sostanzialmente composto da parte della Casa Bianca è dovuto al fatto che queste esercitazioni si sono ripetute a cadenza regolare fra il 2013 e il 2020. Washington sa bene quanto Mosca ami mostrare i muscoli.
Al G7 è invitato anche un membro della Nato che con la Russia va particolarmente d’accordo: la Turchia. Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan si è recato a Mosca, dove ha incontrato il suo omologo, Sergeij Lavrov e lo stesso presidente Putin. La motivazione ufficiale era vedere se ci fossero gli estremi per una soluzione diplomatica in Ucraina, ma soprattutto per parlare dei tanti capitoli sul fronte internazionale che li vedono protagonisti. Proprio a questo proposito, il prossimo 3 e 4 luglio, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, sarà ad Astana, in Kazakhstan per partecipare al summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO), una sorta di G7 a trazione cinese.
La Turchia ha lo stato di Paese osservatore, ma da anni strizza l’occhio all’organizzazione di cui fanno parte anche Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizista, Tagikistan, Uzbekistan, India, Pakistan e Iran. Un atteggiamento da battitore libero, che piace poco a Bruxelles per il ruolo che Ankara possiede nella Nato. Il Patto Atlantico, il mese prossimo, dovrà votare l’aumento dell’impegno dell’Alleanza a favore di Kiev. Il premier ungherese, Viktor Orbàn, ha fatto sapere che si asterrà nella votazione, ma non la boicotterà. Gli occhi sono puntati su Ankara. Obiezioni da parte di Erdogan come avvenuto per l’ingresso della Svezia, consegnerebbero definitivamente il suo Paese al ruolo di agente di Mosca e Pechino, pronto a destabilizzare l’Occidente dal suo interno.