Sheik Abdo Hsyan è arrivato dall’insediamento informale di Miniara, nel nord del Libano – dove risiede una cinquantina di famiglie siriane – in Europa, in rappresentanza del 1,5 rifugiati siriani nel Paese. Con una proposta definita. «Chiediamo la creazione di zone umanitarie in Siria, ovvero territori che scelgono la neutralità rispetto al conflitto, sottoposti a protezione internazionale, in cui non abbiano accesso attori armati», spiega Sheik Abdo Hsyan, accompagnato nel suo tour internazionale dai volontari di Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni, accanto ai rifugiati in Libano da cinque anni. Dopo essere stato all’Europarlamento di Strasburgo e l’Onu di Ginevra – oltre ad avere fatto una serie di tappe a Parigi, Roma e Torino –, venerdì presenterà la lettera-appello all’Università Cattolica di Milano, con la cui unità di ricerca sulla resilienza, diretto da Cristina Castelli, la collaborazione va avanti dal 2015. È stata proprio Castelli a organizzare l’incontro-dibattito di dopodomani.
«Non possiamo restare in Libano per sempre», sottolinea Abdo. La pressione dei profughi – che ormai rappresentano il 40 per cento della popolazione – si sta facendo insostenibile per il Paese. Là i siriani non godono dello status di rifugiati – dato che Beirut non ha firmato la Convenzione Onu del 1951. Essi sono, dunque, migranti irregolari: negli spostamenti rischiano di essere arrestati. Non a caso, secondo quanto affermano fonti locali, i siriani rappresentano il 60 per cento dei detenuti nelle carceri libanesi. Le scuole riescono ad accogliere solo un terzo dei baby profughi. Per questo, Sheik Abdo ha creato un centro educativo che garantisce istruzione a 500 bimbi e 200 adolescenti. «Ma sono soluzioni tampone. È necessario un piano di lungo periodo. Per tale ragione, è necessario che il mondo cooperi alla creazione di enclavi sicure in Siria, dove siano garantite istruzione e sanità», conclude l’attivista.
I rifugiati in Libano presentano la loro proposta in Italia: creare zone sicure, sotto la protezione internazionale, per favorire il rientro
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