Il presidente Daniel Ortega - Reuters
«Sono con voi». E' soprattutto una manifestazione di affetto la lettera pastorale inviata da papa Francesco ai «cari fratelli e sorelle in Cristo dell'amata Chiesa del Nicaragua». Un messaggio che il Pontefice avrebbe voluto scrivere da tempo: lo ha fatto ora, mentre i fedeli si preparano a celebrare l'Immacolata Concezione con la tradizionale novena. «Non dimenticate la Provvidenza amorosa del Signore, che ci accompagna ed è l'unica guida sicura. Proprio nei momenti più difficili, dove umanamente diventa impossibile ciò che Dio vuole da noi, siamo chiamati a non dubitare della sua cura e della sua misericordia». Si legge, tra le righe, un riferimento alla congiuntura drammatica del Paese latinoamericano.
La repressione, in atto da oltre sei anni da parte del governo di Daniel Ortega e Rosario Murillo, ha raggiunto l'apice nelle scorse settimane con l'approvazione preliminare di un nuovo progetto di Costituzione che allunga il mandato presidenziale da cinque a sei anni e istituisce la figura del co-presidente. Soprattutto la riforma - la numero dodici dalla conquista del potere dell'attuale leader - rafforza il controlla, già ferreo, della coppia al vertice - Ortega e Murillo, presto "co-presidente" - sull'apparato istituzionale e sulla società civile, sancendo, anche dal punto di vista formale, la trasformazione di una democrazia imperfetta in dittatura. Oltre alla proscrizione dei partiti oppositori, il testo rimuove la proibizione della tortura. Per quanto riguarda la libertà di fede, essa viene riconosciuta a livello ufficiale, agli articoli 5 e 14. Si puntualizza, tuttavia: «Le organizzazioni religiose devono mantenersi libere da ogni tipo di controllo straniero».
Un intento esplicito - spiegano vari analisti -, alla luce delle persecuzioni quotidiane di cui sono oggetto i cattolici, di rompere il legame tra la Chiesa locale e la Santa Sede, con cui il Nicaragua ha «sospeso» le relazioni dal marzo 2023. Appena due settimane fa, il presidente della Conferenza episcopale, Carlos Herrera, è stato espulso in Guatemala. Il terzo vescovo ad essere espulso dal Paese dopo Rolando Álvarez e Isidoro Mora. Prima di loro, Silvio Báez, ausiliare della capitale, aveva dovuto fare le valigie dopo avere ricevuto minacce di morte. Nella nazione restano ormai solo cinque pastori. Francesco, tuttavia, invita i nicaraguensi ad alzare lo sguardo dalle proprie sofferenze poiché «la libertà delle figlie e dei figli di Dio» «nessuno può togliercela». «Siate certi che la fede e la speranza fanno miracoli».