venerdì 13 ottobre 2023
All'assassino, che ha sparato in piazza a Islamabad, sono stati inflitti 25 anni di carcere. I genitori della 25enne avevano negato il consenso alle notte perché unico sostentamento della famiglia
Donne cristiane in piazza a Hyderabad contro le violenze che quotidianamente subiscono

Donne cristiane in piazza a Hyderabad contro le violenze che quotidianamente subiscono - Ansa

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In Pakistan un musulmano accusato di avere ucciso una giovane cristiana che nel 2020 le era stata negata in matrimonio è stato condannato il 7 ottobre a 25 anni di carcere. La mattina del 30 novembre di due anni fa l’uomo, Muhammad Shahzad, aveva sparato in un’affollata piazza di Islamabad alla 24enne Sonia Allah Rakha dopo che i genitori della giovane aveva negato il consenso alle nozze della figlia, fortemente impegnata a sostenere le precarie condizioni economiche della famiglia.

Un caso raro, il giudizio del tribunale della capitale pachistana, che mostra però la persistenza di qualche spiraglio di giustizia nel muro di discriminazione e abusi che circonda le sparse comunità cristiane nel Paese e anche quelle della altre minoranze religiose. In particolare, perché pratica diffusa, riguardo la costrizione – spesso dopo rapimento e violenza sessuale – al matrimonio islamico previa conversione. Una situazione che, giudicata perlopiù da corti islamiche secondo la legge coranica, Sharia, vede raramente sanzionato il responsabile e la restituzione della libertà alla donna, nonostante in molti casi si trovi al di sotto l’età legale per il matrimonio di 18 anni riconosciuta dalla legge civile ma non da quella religiosa musulmana.

Basti ricordare che, sempre in Pakistan, solo pochi giorni fa a una ragazza cristiana rapita lo scorso maggio è stata negata da un tribunale islamico la ricongiunzione con la famiglia d'origine.

In questo contesto la condanna di Islamabad è sicuramente una buona notizia che non consente però di ignorare una situazione generale di grande problematicità che risente non soltanto della pressione del radicalismo religioso ma anche di una mentalità diffusa di sopraffazione verso le minoranze a cui gli articoli del Codice penale in vigore meglio noti nel complesso come “legge antiblasfemia” danno ampie giustificazioni. Poche finora le sanzioni che chi si sia reso responsabile del loro utilizzo immotivato o fraudolento.

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