Padre Pedro Pantoja aveva fondato nel 2004 il rifugio Belém di Saltillo
Il Covid l'ha ucciso venerdì sera (l’alba in Italia), Giornata Onu dedicata ai migranti. Una data evocativa. A quel popolo in fuga a cui il sacerdote Pedro Pantoja aveva dedicato la vita. Fin da giovane quando, appena ordinato, accompagnava i braccianti messicani sfruttati nei vigneti della California. Fino all’ultimo, il prete di 76 anni è rimasto ad assistere i profughi nel rifugio Belém di Saltillo, da lui fondato nel 2004, insieme al vescovo uscente, Raul Vera Lopez. Non solo un luogo dove i migranti ricevano cibo e alloggio: il centro ha più volte denunciato le violenze perpetrate sugli irregolari dal crimine organizzato e dai pezzi di istituzioni corrotte da quest’ultimo. Padre Pedro ha collezionato minacce di morte e premi internazionali per la sua difesa dei diritti umani. A entrambi non badava troppo: preferiva continuare il lavoro quotidiano di cura agli ultimi. Là l’ha colpito il virus il primo dicembre. Si è aggravato sabato scorso, quando è stato ricoverato in ospedale. La diocesi di Saltillo ha espresso forte dolore per la sua scomparsa. Al cordoglio si sono unite le principali organizzazioni per i diritti umani, inclusa l'Onu. Con padre Pantoja sono 129 i sacerdoti morti in Messico per la pandemia che ha stroncato anche quattro vescovi.