lunedì 28 ottobre 2019
Bruxelles dà al Regno Unito fino al 31 gennaio, un'estensione flessibile, che può essere revocata nel caso l'accordo di uscita di Boris Johnson venga approvato dal parlamento
Dipendenti della Ue preparano la bandiera britannica all'entrata del Consiglio europeo a Bruxelles (Ansa)

Dipendenti della Ue preparano la bandiera britannica all'entrata del Consiglio europeo a Bruxelles (Ansa)

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Quella promessa tanto ripetuta da Boris Johnson, “La Brexit si farà a tutti i costi il 31 ottobre capiti quel che capiti” non diventerà mai realtà. La Ue ha detto sì e ha concesso al Regno Unito “un’estensione flessibile” fino al 31 gennaio 2020. Rimandato ancora una volta quel recesso, che ormai in tanti attendono, sia in tutto il Regno Unito, che nei ventisette paesi dell’Unione Europea.

Ad annunciare l’importante novità, che dovrebbe essere formalizzata attraverso una procedura scritta, è il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, che, con un tweet, ha confermato che Londra avrà altri tre mesi di tempo. Ad avere ceduto è la Francia che, nei giorni scorsi, ha tenuto la posizione più rigida, rispetto alla possibilità di concedere più tempo a Londra. Il presidente Macron, infatti, premeva per un rinvio più breve, facendo da sponda a Boris Johnson, nella speranza di aiutarlo a piegare la Camera dei Comuni costringendola ad approvare in poche ore l’accordo sottoscritto dallo stesso Johnson con i vertici Ue.

Per estensione flessibile, in inglese “flextension”, si intende che il Regno Unito potrebbe lasciare prima gli altri ventisette Paesi se l’accordo negoziato dal primo ministro britannico Boris Johnson sarà approvato dal Parlamento, offrendo di fatto a Londra l'opportunità di uscire in ogni momento nei prossimi tre mesi.

L'estensione dei termini sarà formalizzata in un paio di giorni. Ma la decisione è presa. La scadenza del 31 ottobre - non più a portata di mano in barba alle promesse a raffica fatte da Johnson - è archiviata ufficialmente. E poiché l'alternativa del no deal non piace a nessuno, non resta che dilazionare ancora. Per tre mesi, secondo quanto il Parlamento britannico aveva imposto al premier di chiedere. O meglio, fino a tre mesi. In sostanza, s'indica un'ulteriore deadline, il 31 gennaio, ma con finestre intermedie a fine novembre e fine dicembre al cui scoccare l'isola, ratifica parlamentare permettendo, potrà pure dire addio.

È LA TERZA VOLTA CHE IL REGNO UNITO CHIEDE PIU' TEMPO

È la terza volta che il governo britannico chiede un rinvio della Brexit, malgrado la tempistica sia stata decisa da Londra quando ha notificato, nel marzo 2017, la volontà di recedere dall'Unione, facendo così scattare il conto alla rovescia dei due anni previsti dall'articolo 50 del Trattato sull'Ue. Per la prima volta, salvo sorprese, la proroga dovrebbe essere concessa per procedura scritta, senza riunire un Consiglio Europeo straordinario a Bruxelles.

Stasera il governo Johnson ha trovato per la terza volta un muro nel quorum dei due terzi su una mozione favorevole allo scioglimento della Camera dei Comuni. Il testo prevedeva di mandare i deputati a casa il 6 novembre e convocare le urne per il 12 dicembre: ma avrebbe avuto bisogno dell'appoggio del Labour di Jeremy Corbyn, incerto e diviso al suo interno. Quindi niente da fare, malgrado i toni sferzanti con cui il primo ministro è tornato a puntare il dito contro Parlamento, opposizioni e Corbyn in primis: accusati di "tergiversare", d'essere loro - non lui - i responsabili di quest'altra proroga, di saper solo rinviare, di non approvare
entro fine ottobre "il nuovo grande deal raggiunto (con Bruxelles) a dispetto di chi diceva fosse impossibile", di non voler in realtà neppure "rispettare il risultato" del referendum del 2016.


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