venerdì 19 aprile 2019
Il presidente «esulta» e attacca i dem sul rapporto, ma il procuratore ha trovato molti contatti con Mosca Portati alla luce numerosi sforzi del leader di bloccare l’indagine, però mancano le prove «
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Robert Mueller non ha trovato abbastanza prove per incriminare Donald Trump, ma nemmeno per assolverlo. Nei suoi 22 mesi di indagini sull’interferenza russa nelle elezioni del 2016 (dimostrata) e sulla possibile collusione del presidente Usa con Mosca, il procuratore speciale incaricato di far luce nell’ormai famoso Russiagate ha trovato molti contatti fra Trump e la Russia che la Casa Bianca ha ripetutamente negato e ha portato alla luce numerosi sforzi di Trump di bloccare la sua indagine. Non a sufficienza per assicurare un’incriminazione del presidente, ma neanche per escludere del tutto che abbia commesso un reato. «Per quanto riguarda le azioni e le intenzioni del presidente – conclude il rapporto, lungo 448 pagine – sono presenti questioni che ci vietano di arrivare alla conclusione che nessuna condotta criminale sia stata compiuta». Il motivo principale che ha impedito una chiara accusa del presidente è, secondo Mueller, il semplice fatto che spesso i suoi ordini non sono stati eseguiti.

«Gli sforzi del presidente per influenzare l’indagine – prosegue il documento, pubblicato ieri online dal dipartimento di Giustizia Usa – sono stati essenzialmente infruttuosi, ma questo è dovuto in larga parte al fatto che le persone della sua cerchia hanno rifiutato di dar seguito alle sue richieste ». Una di queste esigeva la «testa di Mueller». Ma l’allora consigliere legale della Casa Bianca, Don McGahn, si rifiutò di licenziare il procuratore, incorrendo così nelle ire del suo capo. McGahn successivamente si dimise dall’incarico. Il rapporto afferma anche che c’era un «ragionevole argomento » per concludere secondo che il figlio del presidente, Donald Trump Jr., ha violato le leggi sulla campagna elettorale con i suoi contatti con la Russia, ma non abbastanza forte per ottenere una condanna. Quanto il capo della Casa Bianca fosse preoccupato dell’esistenza dell’inchiesta è emerso dalle interviste del procuratore speciale con membri del gabinetto di Trump. «Il presidente espresse ai suoi consiglieri la preoccupazione che i risultati dell’inchiesta avrebbero potuto rendere pubblica la questione della legittimità della sua elezione », scrive ancora il 74enne ex capo del Fbi. L’esempio più lampante è la reazione del Commander in chief alla nomina di Mueller, dopo il licenziamento da parte di Trump del suo predecessore, James Comey. Trump rimase sconcertato: «Sobbalzò sulla sedia ed esclamo: ”Oh mio Dio. Questo è terribile. Questa è la fine della mia presidenza. Sono fregato”», si legge. Il metodo più efficace usato dal capo della Casa Bianca per non collaborare con il Russiagate è stato quello di fornire risposte scritte alle domande di Mueller, scrivendo «non ricordo » più di 30 volte. Altre risposte, evidenzia il procuratore, sono state «incomplete o imprecise ».

Ma Mueller accantonò l’ipotesi di interrogare personalmente Trump perché tale azione avrebbe potuto innescare una «lunga diatriba costituzionale » e provocare «un sostanziale ritardo» nell’indagine. Tutti elementi che hanno spinto ieri i leader democratici in Congresso a sostenere che il rapporto contiene «prove inquietanti di azioni illecite» che alimenteranno ulteriori indagini da parte di Camera e Senato e a convocare Mueller in Aula. Non hanno però indicato di voler usare il documento per tentare una messa in stato d’accusa del presidente (impeachment), anche se il democratico Jerrold Nadler, presidente della commissione Giustizia, non lo ha escluso. Gli avvocati di Trump, invece, esultano: «È una vittoria totale». «L’assoluzione del presidente è un importante passo avanti per il Paese e un forte richiamo al fatto che non si deve permettere che questo tipo di abuso possa ripetersi », affermano. Lo stesso presidente ha ribadito «nessuna ostruzione, nessuna collusione », promettendo poi di «andare fino in fondo a questa storia» e di non dare pace a coloro che hanno voluto lanciare quella che ha definito una «caccia alle streghe».

Anche il nuovo ministro alla Giustizia di Trump, William Barr, ha ribadito la sua interpretazione del rapporto come una piena assoluzione, spiegando che «ci sono prove sostanziali » che dimostrano che il leader «era frustrato solo dalla sincera convinzione che l’inchiesta stesse minando la sua presidenza, spinta dai suoi avversari politici».

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