Jacque Delors - Reuters
Era riconosciuto come l’ultimo dei padri nobili dell’Europa, per il memorabile ruolo propositivo e d’impulso che ebbe in particolare alla guida della Commissione Ue, nel cruciale decennio 1985-1995: quello degli Accordi di Schengen (1985), della creazione del programma Erasmus (1987) e del Trattato di Maastricht (1992). Lo statista francese Jacques Delors si è spento a 98 anni, come ha annunciato ieri sua figlia Martine Aubry, divenuta a sua volta una figura di spicco nel campo socialista. Per i credenti francesi, era anche una delle ultime grandi figure dell’impegno cattolico in politica, oltre che in campo sindacale. Oltralpe, inoltre, tutti ricordano il suo «gran rifiuto», ovvero la rinuncia alla corsa presidenziale nel 1995, quando i sondaggi lo davano favorito per l’Eliseo, nella scia del lustro acquisito sulla scena Ue.
Nel 2007, in un’intervista ad Avvenire per i 50 anni del Trattato di Roma, ci confessò di rimpiangere soprattutto uno sviluppo troppo timido del programma Erasmus. Inoltre, con la lungimiranza che tanti gli riconoscevano, vi perorava pure l’urgenza di giungere a «un’Europa dell’energia» degna di questo nome, come nuovo asse irrinunciabile nell’approfondimento della costruzione europea. Un appello che non venne ascoltato, con le conseguenze oggi sotto gli occhi di tutti.
Tante le responsabilità lungo una parabola pubblica dalle varie sfaccettature. A livello governativo, fu ministro dell’Economia fra il 1981 e il 1984, sotto Mitterrand. Il mondo della scuola ricorda invece il Rapporto Delors, frutto di un lungo impegno al timone della Commissione internazionale sull’educazione nel XXI secolo, presso l’Unesco. «Ne piangiamo la scomparsa, ci inchiniamo davanti alla sua forza e autorità morale», ha reagito a caldo l’ex premier Enrico Letta, presidente a Parigi dell’Istituto Jacques Delors, il think tank europeo fondato dall’ex presidente della Commissione.
Jacque Delors aveva 98 anni - Ansa
Le memorie di Delors, pubblicate dall’editore Plon, si aprono con una massima spirituale del cardinale Carlo Maria Martini: «Anche noi abbiamo desideri, progetti, speranze cui ci aggrappiamo con tanta passione, senza considerare che alcuni accadimenti possono rivelarci che esiste un progetto di Dio, diverso dal nostro, che naturalmente non possiamo prevedere o preventivare, più grande dei nostri pensieri. Per questo non riusciamo a pensare che possa essere più bello, più utile, più entusiasmante per noi e più capace di dare fiato e speranza».
Nello stesso libro, per spiegare la rinuncia del 1995, Delors ha insistito fra l’altro sulla difficoltà di suscitare una convergenza parlamentare all’insegna di un pieno europeismo, in particolare fra i socialisti e l’area centrista. La rinuncia di Delors spianò la strada a Jacques Chirac, riportando l’Eliseo nel campo del centrodestra gollista.
Una scelta dunque in nome di quel pragmatismo riassunto da un’altra massima, questa volta dello statunitense Dwight Morrow, che l’ex presidente della Commissione Ue amava particolarmente, come già era stato il caso per un altro padre dell’Europa, Jean Monnet: «Il mondo è diviso in due: quelli che vogliono essere qualcuno e quelli che vogliono realizzare qualcosa».