Asia Argento e il giovane collega Jimmy Bennet in una foto da Instagram (via Ansa)
Non proprio tempestiva, è arrivata la smentita di Asia Argento: mai avuto relazioni sessuali con il suo «figlioccio» Jimmy Bennet. «Sono profondamente scioccata e colpita leggendo notizie che sono assolutamente false». Le «notizie false» però arrivano dal New York Times, e sono assai circostanziate: Argento nel 2013 avrebbe aggredito sessualmente un collega 17enne, dunque minorenne, e nel 2017 pagò 380mila dollari per evitare che il fatto arrivasse nelle aule di un tribunale, negli stessi mesi in cui era impegnata in un duro confronto con il produttore Harvey Weinstein, accusato a sua volta di molestie.
Argento nega l’aggressione ma conferma di aver pagato per liberarsi di una «persecuzione», in pratica il ricatto di un giovane (ex) amico rimasto senza lavoro, il quale, scoppiato il caso Weinstein, le chiese «un’esorbitante somma di denaro» (inizialmente 3,5 milioni di dollari) per «la sofferenza emotiva causata». Una richiesta che lei e il suo compagno, lo chef Anthony Bourdain, morto suicida lo scorso giugno, decisero di «gestire in modo compassionevole», a condizione di «non subire più intrusioni nella nostra vita».
Troppo ghiotto il piatto: l’accusatrice numero uno del produttore-satiro di Hollywood, colui che prima di attribuire una parte a un’attrice la costringeva a sdraiarsi sul divano, proprio lei, tra le ispiratrici del movimento anti molestie #MeToo, a sua volta predatrice. «Questo sviluppo rivela un incredibile livello di ipocrisia da parte di Asia Argento», ha gongolato Ben Brafman, legale di Weinstein.
È così che l’attrice italiana è salita di nuovo sul banco degli imputati: prima, da vittima, perché raccontò gli abusi subiti con 20 anni di ritardo (dopo averne tratto vantaggio, malignarono in molti). E adesso, da presunta colpevole, perché si sarebbe rivelata lei stessa un’aguzzina. Un numero impressionante di media ha trattato questa vicenda con un compiacimento e una cattiveria degni di miglior causa.
La questione è molto più seria: le accuse ad Asia Argento getteranno discredito sul movimento #MeToo? Inutile negare che sì, la colata di fango sporca anche l’impegno di tante donne che da ogni parte del mondo si sono fatte coraggio. Ricordiamo i comportamenti scorretti denunciati ed emersi nel Parlamento britannico e in quello europeo, nel mondo dell’arte, della musica e persino nel Comitato del Nobel. Sono soprattutto gli scettici – quelli per i quali le donne sono un po’ complici delle «mani lunghe» perché sperano di trarne vantaggio oppure quelli secondo i quali le molestie sono solo corteggiamenti un po’ spinti – ad esultare per lo «scivolone» del #MeToo.
Ma nonostante questo rigurgito di maschilismo non si tornerà indietro. Non sarà la controversa Asia Argento a depotenziare un movimento che ha dato coraggio alle donne di tutto il mondo, di ogni estrazione, facendole sentire meno sole di fronte a richieste non appropriate nei luoghi di lavoro e non solo. «Non lasciamo che ciò accada», ha supplicato Tarana Burke, che inventò il MeToo nel lontano 2006, ben prima che diventasse un hashtag. Anzi, ha argomentato, il fatto che ora sia un giovane uomo a denunciare il (presunto) abuso si può considerare un successo del movimento stesso. La molestia sessuale è prima di tutto una questione di potere e di privilegio. Se la vittima di questo potere è nella maggior parte dei casi – e questo è un fatto – una donna, questo non esclude che possa accadere anche che il molestato sia un uomo.
La forza del #MeToo vale anche per i maschi: fatevi avanti, denunciate situazioni di avance prepotenti o ricattatorie da parte di una «lei» che ha potere sulle vostre vite. Sta accadendo già: una docente dell’Università di New York la settimana scorsa è stata denunciata da un suo studente. Poche settimane fa un centinaio di atleti dell’Ohio ha portato alla luce un ventennio di abusi da parte del loro medico sportivo. Asia o non Asia, la storia del #MeToo continua.