giovedì 6 giugno 2024
Crolla il consenso per il primo ministro indiano: l'esito del voto può forse aver divaricato lo spazio fra le comunità indù e musulmana ma messo in serie difficoltà anche quella cristiana
Dopo il voto per Modi non sarà così facile continuare la cavalcata
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L’India volta pagina...o quasi. Dopo lo choc elettorale ci potranno essere tentativi di imputare il risultato al gran caldo, all’indecisione dei giovani e magari anche a una “disinformata” ma record partecipazione femminile; ci saranno probabilmente iniziative per ammorbidirne l’impatto con provvedimenti d’urgenza a carico dei bilanci pubblici e magari qualche diversivo per rilanciare l’orgoglio nazionale. Tutto plausibile nel contesto di un Paese-continente dove contraddizioni, speranze e particolarismi pesano ancora più delle certezze di una democrazia che per sei settimane ha visto a un impegno senza paragoni al mondo per rinnovare il Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento di New Delhi.

​Tanto sarà detto per convincere il miliardo di elettori stremati che il Paese resta saldamente nelle mani dei nazionalisti indù, guidato verso brillanti traguardi da una figura demiurgica come Narendra Modi, il politico-pigliatutto alla guida del governo dal 2014. Però i dati usciti dalle urne sorprendono, ma non mentono e indicano che la parabola di Modi ha avuto una discesa per certi aspetti drammatica e se un terzo mandato è certo, la sua immagine è compromessa e il fair play con cui i rivali hanno accolto il risultato lo conferma, infierire non serve.
L’Nda (National Democratic Alliance), la coalizione raccolta attorno al suo Bjp aspirava a surclassare se stessa, puntando a conquistare 400 seggi su 543 complessivi. Invece si è fermata a 293 contro i 234 della rivale India (Indian National Developmental Inclusive Alliance) indirizzata dal Partito del Congresso guidato da Rahul Gandhi. A aggravare le cose, mentre quest’ultima ha quasi triplicato i seggi e il solo Congresso è passato da 52 a 99 deputati, il Bjp è sceso da 303 a 240. Brutale il ridimensionamento di altre formazioni esterne alle coalizioni, complessivamente scese da 99 a 16 seggi.
Le prospettive saranno segnate da questa situazione e dalle pretese di alleati ora indispensabili, avendo perso il Bjp la maggioranza da solo. Non aprono a scenari di instabilità ma suggeriranno una maggiore cautela a Modi dal nuovo incarico l’8 giugno.
Più che le promesse poco incisive del Partito del Congresso indirizzato dalla dinastia Gandhi, a giocare contro il premier e le sue politiche sono stati gli “anticorpi” che l’India ha dimostrato di avere contro le forze che, anziché integrarne le varie componenti, pretendono di selezionarle per origine, cultura, etnia o fede. Gli elettori sembrano avere recuperato un ruolo riequilibrando i due blocchi con il 44 e il 42 per cento delle preferenze, potenzialmente innescando una maggiore polarizzazione ma indirettamente proponendo loro di impegnarsi per uno sviluppo condiviso.
A Modi, primo referente politico dell’induismo militante, non può non bruciare la sconfitta del suo partito anche nel distretto elettorale che include la città di Ayodhya. Qui sorge il maestoso tempio dedicato al dio Rama inaugurato pochi mesi fa dallo stesso leader dove fino al 1992 sorgeva una moschea rasa al suolo da una folla di indù indirizzati dal Bjp. Capitolo di una storia fondata su letture diverse, prologo di una strumentalizzazione politica del fattore religioso che ha divaricato forse irreparabilmente lo spazio fra le comunità indù e musulmana ma messo in serie difficoltà anche quella cristiana.

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