Una giovane delegata dell'Assemblea sinodale a Roma - Siciliani
«Desidero che i miei amici incontrino Gesù in modo semplice, perché un incontro autentico è anche semplice, e semplicità spesso è sinonimo di cura – sottolinea Matteo Spadini, 20 anni, delegato alla Prima Assemblea sinodale per la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, uscendo dalla Basilica di San Paolo fuori le Mura, durante una pausa dai lavori nei tavoli –. Non possiamo sbagliare comunicando in modo non comprensibile, e il Sinodo in questo può fare molto bene alla Chiesa».
Cento tavoli sinodali e, attorno a ciascuno, seduti uno accanto all’altro, tantissimi giovani che per un giorno intero si sono confrontati alla pari con vescovi, sacerdoti, religiosi, suore e laici adulti. L’ingresso della Basilica, che ospita fino a oggi la Prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, ieri si è riempito delle voci dei circa mille delegati, dalle diocesi di tutto il Paese, al lavoro insieme sulle 17 Schede tematiche. Proprio dalle parole dei giovani sono emerse la grande passione per la realtà ecclesiale e le spinte più forti verso un cambiamento sempre più urgente.
«La vita cristiana deve arrivare a toccare la quotidianità dei giovani, altrimenti non ha senso», continua Matteo che studia all’università e fa parte della Pastorale giovanile. L’Assemblea gli sembra lo specchio di una Chiesa autenticamente sinodale, che fa sedere un giovane «allo stesso tavolo di un vescovo per confrontarsi su come portare agli altri Gesù nella maniera migliore». Quella che sogna è una comunità cristiana «che riesca a parlare alla ferialità di ciascuno, nelle sue sfumature più luminose e più buie». Un’ultima sottolineatura riguarda la comunicazione. «Mi stanno a cuore le modalità con cui la Chiesa sceglie di raccontare le questioni più importanti della vita – conclude Matteo –, troppo spesso resta ingessata nella formalità».
Sul tema dell’attenzione alla marginalità, invece, si sofferma Giulio Lago, che ha 25 anni, nella vita fa lo psicologo ed è delegato della diocesi di Vicenza. «La Chiesa che sogno è una casa per tutti – racconta –, che rimette al centro chi è spinto ai margini della società. Una Chiesa che sappia tornare al messaggio autentico di Gesù, che non ha parlato solo a una categoria di persone e non ha mai emarginato nessuno». E poi aggiunge: «La società sta cambiando, stanno nascendo forme nuove di pensiero, e ci viene chiesto di cambiare mentalità sulle questioni giovanili, sui migranti, sulle nuove forme di affettività e sul supporto alle famiglie. Come Chiesa dobbiamo raggiungere questi “ambienti”, dovremmo “uscire” come ci chiede papa Francesco, uscire talmente tanto da rischiare anche di starci male».
E “uscire” è cosa da cuori giovani e appassionati, come ha ricordato lo stesso Pontefice ieri all’udienza per i vent’anni del Consiglio nazionale dei giovani. «È importante dunque sapere che i giovani italiani sanno essere artigiani di speranza perché sono capaci di sognare – ha sottolineato il Papa –. Per favore, non perdete la capacità di sognare: quando un giovane perde questa capacità, non dico che diventa vecchio, no, perché i vecchi sognano. Diventa un “pensionato della vita”. È molto brutto. Per favore, giovani, non siate “pensionati della vita”, e non lasciatevi rubare la speranza!».
Antonina Bommarito, invece, ha 23 anni e studia Beni culturali all’Università di Palermo. È a Roma come delegata dell’arcidiocesi di Monreale. «A toccarmi più di tutti è il tema della missione – spiega la giovane, che fa parte del Cammino neocatecumenale – soprattutto perché molti ragazzi non credono più nella Parola, non pensano sia utile per la vita». Nel suo tavolo di lavoro, il tentativo è stato quello di «cercare un metodo per far riscoprire la bellezza del Vangelo che è una Parola di felicità, di gioia, di libertà». Quella che desidera Antonina è una Chiesa «che sappia ascoltare tutti e lasciare che tutti possano esprimersi, andando incontro in prima persona a chi è lontano». Una richiesta importante, poi, è per il mondo adulto. «Spesso i giovani vengono messi a tacere dai più grandi, come se i loro problemi non fossero mai all’altezza. Invece molti di noi vivono sofferenze anche nuove, esistenziali, profondissime e servirebbe un ascolto che non giudica».
La Chiesa che sogna Pasquale Ciuffreda, che ha 26 anni ed è delegato dell’arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, è una Chiesa «permeabile all’umano, che si lascia “attraversare” dal vissuto degli uomini e delle donne, e che sa ascoltare le domande di senso dei giovani». Una Chiesa sinodale, dunque, che «parli con la prima persona plurale: il noi. Un “noi” in cui tutti possiamo essere protagonisti, dove tutti siamo sullo stesso livello, dove le nostre idee sono messe a disposizione di tutti, per essere davvero Chiesa missionaria». I giovani, aggiunge Pasquale che vive il suo cammino di fede in Azione Cattolica, «ci chiedono di essere più attraenti, perché molte volte non sappiamo essere una Chiesa gioiosa, che sa contagiare con la felicità. La sfida, per giovani e adulti, è quella di mettersi in dialogo con queste persone, un dialogo che spesso non è fatto di parole ma di gesti, di emozioni che sanno fare breccia nei cuori».
«La Chiesa che sogno è aperta all’accoglienza, è gioiosa, lieta e sempre in cammino verso gli altri, testimoniando con i fatti l’amore di Cristo – afferma Maria Chiara Galli, 26 anni, delegata dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola –. Vorrei che non avessimo paura del confronto e che usassimo i termini giusti, chiamando le cose con il loro nome, senza giri di parole. Termini che incarnino il momento che stiamo vivendo. Ecco, sono convinta che questa Assemblea darà molti frutti, porterà a molti cambiamenti, senza snaturare la bellezza di ciò che siamo».