venerdì 21 giugno 2024
Ajith Singhay, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori, ha visitato il sud della Striscia: «Mai visto niente del genere. Migliaia di persone stipate sulla costa»
Il campo profughi a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza

Il campo profughi a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza - ANSA

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«Gli ospedali sono pieni fino a scoppiare e l’odore è insopportabile. Le acque reflue si riversano nelle tende e non c’è acqua potabile. Se le bombe non uccidono, lo faranno le malattie». Di ritorno dall’inferno di Gaza, il capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Ajith Singhay, denuncia una distruzione «inimmaginabile». Ha visitato il settore meridionale della Striscia: Khan Yunis, Rafah e Deir al-Balah. «In 22 anni di lavoro alle Nazioni Unite, anche in molte situazioni di conflitto e postconflitto, non ho mai visto una situazione del genere. Il rumore delle bombe, delle armi e dei droni è costante, giorno e notte» racconta.

Stando al rapporto dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Unocha) la situazione degli sfollati sta «rapidamente peggiorando». Centinaia di migliaia di persone sono stipate nell’area costiera desertica dove i picchi di calore si aggiungono alla guerra e all’illegalità rendendo «quasi impossibile per gli operatori umanitari far fronte alle necessità e ai bisogni crescenti». Nei campi delle zone centrale e meridionale è difficile avere accesso all’acqua e c’è una grave carenza di cibo e di latte artificiale per i neonati. « Molte famiglie dicono di consumare un solo pasto al giorno, alcune uno ogni due o tre giorni».

Un servizio della Bbc documenta la quotidianità di una famiglia sfollata dal Nord che vive accanto a una discarica a Khan Yunis. Puzza e topi. «Piango come farebbe ogni altra nonna sui nipotini ammalati e con la scabbia. È come morire lentamente. Non c’è dignità», lamenta Asmahan al-Masri che vive in una tenda con 15 parenti. È fotografata con tre bambini, seminudi per il caldo e con i capelli cortissimi, davanti a una montagna di immondizia. Nugoli di mosche e cani randagi. «L’odore è insopportabile. Tengo la tenda aperta perché entri un po’ d’aria, ma arriva solo l’odore dei rifiuti». Nell’attesa della tregua che non c’è, le operazioni militari vanno avanti. L’esercito ha annunciato di avere ucciso un comandante e cecchino della forza d’élite Nukhba che avrebbe partecipato al massacro del 7 ottobre.

«Prima dell’attacco sono state prese misure per evitare danni alla popolazione. Nessun civile è stato ferito», recita il comunicato. In un video diffuso dai militari si vede un uomo camminare su un tetto per circa sei secondi, poi parte un proiettile e tutto viene ricoperto di fumo. Sul confine egiziano, le truppe controllano gran parte di Rafah. «Anche chi viveva lungo la spiaggia ha cominciato a spostarsi in direzione di Khan Yunis e delle aree centrali a causa dei continui bombardamenti » riferisce alla Reuters un residente, Abu Wasim del quartiere di al-Shaboura.

Il bilancio delle vittime sarebbe salito a 37.431, con 85.653 feriti, secondo il ministero di Hamas. In Qatar il leader politico del gruppo, Ismail Haniyeh, ha fatto il punto della situazione con il ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri, ed è apparso piuttosto soddisfatto: in Israele ci sarebbe il «caos politico», e il governo non avrebbe «raggiunto alcun obiettivo in nove mesi di guerra contro Hamas e di genocidio contro il popolo di Gaza». Inoltre, le rivolte da parte del «fronte della Resistenza» in Libano e in Yemen indicherebbero «la maturità strategica delle nazioni della regione ». Ora: fratture interne in Israele ci sono di sicuro. E anche punti di forte frizione tra il governo e i militari: gli ultimi giorni hanno dimostrato con evidenza come, di fatto, Netanyahu sia assediato sui più fronti. Ma Idf ha ribadito che gli obiettivi nella Striscia restano gli stessi e lo smantellamento delle infrastrutture di Hamas e l’azzeramento della capacità offensiva del gruppo terrorista restano la priorità. Continuano intanto le contestazioni: a Tel Aviv cinque persone sono state fermate per avere incendiato pneumatici in una manifestazione che ha bloccato una delle strade principali.

«Accordo ora» chiedono con insistenza i dimostranti. Nessun segnale d’intesa neanche sul fronte nord con gli Hezbollah. L’inviato speciale americano, Amos Hochstein, ha avvertito i funzionari libanesi che se i miliziani sciiti non fermeranno i lanci di razzi il Libano – 25 solo ieri, che hanno colpito case e provocato incendi – potrebbe diventare bersaglio si un attacco limitato appoggiato da Washington.

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