lunedì 5 novembre 2012
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«Quando l’artiglieria degli spot televisivi ha sparato tutti i suoi colpi, la battaglia passa nelle mani delle truppe di terra». Damian Hoke si ripete il ritornello per farsi coraggio, mentre si avvicina alla modesta villetta bianca con la porta blu e si prepara all’attacco. Si passa la mano nervosamente fra i capelli, sorride e suona il campanello. Il numero 50 di Woodrow Street, a West Hartford, in Connecticut, nell’elenco che il 20enne volontario per la campagna di Barack Obama ha nell’iPad, è l’indirizzo di una coppia potenzialmente democratica, anche se il rischio di dover battere in ritirata sconfitto esiste. Ma Damian non arretra, convinto che la sua missione sia fondamentale. Studi accademici e l’analisi dei voti del passato dimostrano come nel persuadere un elettore in bilico nulla funzioni meglio dell’interazione a tu per tu con un volontario motivato, disposto a spiegare il programma di un candidato anche per mezz’ora, senza chiedere nulla in cambio, né soldi, né promesse. Damian sa cosa deve fare: deve presentare ai padroni di casa tre semplici ragioni per votare per il presidente in carica, e, soprattutto, assicurarsi che martedì andranno alle urne (in Connecticut, al contrario di molti altri Stati, i seggi aprono solo nell’Election Day).Risponde alla porta della villetta, nel cui giardino si vedono i rami caduti durante l’uragano, una donna bionda sui 35 anni, in tuta da ginnastica e con l’aria indaffarata. Guarda Damian con aria scettica, senza invitarlo ad entrare. Ma il soldatino non si lascia intimidire. Prima si assicura che tutti in famiglia stiano bene, che Sandy non abbia fatto troppi danni, che abbiano luce e riscaldamento. Poi si lancia nel suo copione. «Vedo qui che nel 2008 lei ha votato, ma non nel 2010. Ha bisogno che le ricordi dov’è il suo seggio? I suoi vicini non hanno mancato neanche un appuntamento elettorale e sono sicuro che potrebbero darle un passaggio». La donna si riprende dall’imbarazzo abbastanza per dirgli che ha assolutamente in programma di andare a dare la sua preferenza il 6 di novembre. Solo allora Damian recita il suo elenco delle qualità del candidato democratico. Da due settimane lo studente di Scienze Politiche setaccia i quartieri del sobborgo residenziale di Hartford, la capitale del Connecticut. E ha già imparato alcune lezioni. La prima: la vergogna funziona. Il modo migliore per convincere un elettore a votare è ricordargli che la sua partecipazione, o meno, è un dato pubblico. La seconda è che, qualsiasi cosa dica, non potrà avere la certezza che la signora di Woodrow Street tiri la leva della macchinetta del seggio per Obama. Meglio allora fare di tutto perché, almeno, vada alle urne.In un’elezione dall’esito incerto, infatti, è più produttivo trascinare i “probabili” elettori del proprio partito ai seggi che cercare di far cambiare idea a un membro dello schieramento opposto. Alcune ricerche e l’esperienza di Obama nel 2008 insegnano che un accurato lavoro nell’incoraggiare la partecipazione elettorale può far aumentare il risultato di un candidato dell’1 per cento. Soprattutto quando le microanalisi dei comportamenti permettono di prevedere con buona approssimazione dove vivono democratici e repubblicani. Damian, così come i suoi colleghi repubblicani sparpagliati in 450 uffici aperti dal Gop in 30 Stati, ha un terzo compito: accertarsi che gli abitanti di West Hartford siano registrati. Negli Stati Uniti, infatti, può votare solo chi in precedenza ha confermato la sua identità, età e residenza presso il comune in cui vive. La registrazione è così decisiva da aver causato una mobilitazione nazionale da parte di entrambi in partiti, soprattutto i democratici, che fra i loro simpatizzanti contano poveri, anziani e immigrati, i quali potrebbero non sapere come registrarsi. I repubblicani, per far sentire la loro presenza nei quartieri, tendono ad affidarsi al passaparola di associazioni conservatrici locali e alle cene di molte chiese evangeliche (o di rinati in Cristo), soprattutto nel Sud. I democratici ad eventi più espliciti, come quello organizzato domenica scorsa dalla chiesa battista di New Hope, in un quartiere degradato di Miami. «Souls at the polls» anime ai seggi, diceva uno striscione sul banchetto, dove, senza nascondere le loro simpatie per Obama, una mezza dozzine di volontarie raccoglievano nomi e controllavano documenti, mentre offrivano pesce fritto e patatine. Un abbinamento che non è piaciuto a un osservatore repubblicano, che le ha accusate di comprare voti. La bagarre è rientrata quando il pastore ha assicurato che il cibo era per tutti, ma altre volte scontri come questi sono degenerati in tafferugli, denunce, cause legali e persino ingiunzioni di un giudice (come in un caso proprio in Florida ad agosto). E martedì sarà anche peggio. Il giorno del voto i soldati delle truppe di terra, sia democratici che repubblicani, si trasformeranno in osservatori, appostati in tutti i seggi per verificare che chi vota abbia le carte in regola, e Damian si sta già preparando psicologicamente alla battaglia. Con la posta in gioco così alta, le scintille (e gli interventi degli avvocati) sono assicurate.
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