Il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia, Pavlo Honcharuk, con uno dei ragazzi che hanno ricevuto un dono da papa Francesco - Gambassi
Nella mente di Ruslan Zalivan papa Francesco è un amico dei bambini. Lo ha disegnato mentre bacia sulla fronte una ragazzina bionda. Alle spalle la bandiera della pace. E sopra lo zucchetto bianco, una colomba che porta un ramoscello d’olivo e che viene illuminata dai raggi del sole. Ha dieci anni, Ruslan. Il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia, Pavlo Honcharuk, gli stringe la mano e poi lo abbraccia quando viene premiato nella Cattedrale latina nel cuore di Kharkiv. E con lui una ventina di ragazzi a cui la diocesi ha chiesto di raccontare con pennarelli e matite il Papa che ha fatto arrivare i regali fino nell’est dell’Ucraina, sotto le bombe che cadono senza sosta sulla seconda città del Paese e su tutta la regione troppo vicina al confine russo. «Sono doni che ci ha recapitato l’elemosiniere pontificio, il cardinale Konrad Krajewski – racconta il vescovo –. Ma molti dei bambini a cui li abbiamo consegnati non sapevano neppure chi fosse il Papa perché non sono cattolici. Allora il direttore della Caritas ha spiegato loro che il Papa vive a Roma, che ama l’Ucraina, che vuole venire qui, che chiede in continuazione di fermare la guerra».
Il vescovo Pavlo Honcharuk con il piccolo Ruslan Zalivan che ha disegnato papa Francesco "amico dei bambini" - Gambassi
Monsignor Honcharuk fa scorrere i fogli. «Dai disegni si alza un grido di pace: i bambini chiedono che tacciano le armi. I loro cuori sono puri, anche se la guerra li ha feriti». Una pausa. «I ragazzi sanno nascondere le sofferenze che i missili infliggono. Non le esprimono a parole ma talvolta in ciò che buttano giù su carta. Perché ormai la loro è una vita tutta al chiuso, al riparo dagli attacchi. La scuola è solo telematica. I genitori proibiscono loro di uscire per ragioni di sicurezza. I giardini pubblici dove si incontravano sono spesso colpiti dai raid. Eppure, come ben mostrano i ritratti del Papa, sono sorretti dalla speranza che i combattimenti finiscano al più presto», spiega l’energico pastore di 45 anni che è vescovo dal 2020.
I bambini nella Cattedrale latina di Kharkiv - Gambassi
Eccellenza, da un anno l’Ucraina è in guerra. Qui a Kharkiv i missili arrivano come i primi giorni. La città è spossata?
Non direi. Il pericolo resta alto. La prossimità alla frontiera russa ci rende un bersaglio. E poi il capoluogo è uno dei simboli del Paese. Direi che gli attacchi sono ormai penetrati nel nostro corpo e nella nostra mente con il loro carico di annientamento. Però la voglia di vivere, l’anelito di libertà, il desiderio di giustizia sono più forti della paura e sono il nostro scudo alle bombe. Lo dimostra, ad esempio, la scelta di tante persone di tornare nei villaggi liberati dall’esercito ucraino, nonostante le case siano distrutte o si debba fare i conti con la mancanza di elettricità, riscaldamento e acqua. Il nemico non è riuscito a piegarci e a spaventarci.
La guerra sta portando povertà.
Sicuramente. La povertà cresce. Qui non si lavora: non perché si hanno timori ma perché non ci sono più occasioni di occupazione. Così viene meno la possibilità di comprare cibo e medicine. E poi ci sono le persone degli insediamenti che sono stati occupati dai russi e in molti casi rasi al suolo: loro hanno perso tutto.
Gli operatori della Caritas-Spes con i disegni del Papa realizzati dai bambini di Kharkiv - Gambassi
Kharkiv è spesso senza elettricità per i raid alle infrastrutture energetiche. Come si vive?
È uno dei modi con cui il presidente Putin vorrebbe metterci in ginocchio. Il suo obiettivo è colonizzarci. Ma l’Ucraina non cederà alla strategia della tensione e non diventerà schiava del leader del Cremlino, come invece lo è il popolo russo che ha scelto di sottomettersi al suo delirio di onnipotenza. Di fronte ai black-out la nostra gente ha risposto con intelligenza istallando generatori o batterie. Anche questa è una forma di resistenza. Conta la luce dell’anima, non quella in casa o lungo le strade.
Lei visita i militari al fronte e porta loro gli aiuti. Qual è il clima?
Non possiamo nasconderci dietro un dito: la stanchezza c’è. Ma i soldati sentono di avere un’intera nazione al loro fianco. E in trincea l’elemento religioso diventa un salvacondotto. Molti militari mi hanno detto: «Sa che cosa ripeto spesso? Dio aiutami». Quando si combatte, la fede permette di non perdere i tratti d’umanità.
Il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia, Pavlo Honcharuk, nella Cattedrale latina di Kharkiv - Gambassi
Si può essere annunciatori di pace come chiede il Vangelo?
Per noi cristiani la pace è Gesù. È il Figlio di Dio che ce la dona anche in mezzo all’atroce follia della guerra. E ci dice che la sua pace è più forte della morte. La pace deve partire da ciascuno di noi. Serve la pace interiore se si vuole costruire quella nei nostri Paesi. E quella sociale necessita di verità e di amore: ci sono oggi queste due dimensioni?