Jody Williams
«Le donne Nobel per la pace sanno che il mondo lo si cambia solo lavorando tutti insieme. Molti uomini premiati col Nobel credono invece che il premio sia stato solo merito loro. È per questo che noi donne premiate sappiamo fare squadra». Lo dice sorridendo, ma non ha dubbi. Jody Williams, classe 1950, insegnante statunitense del Vermont e attivista per la pace, nel 1997 è stata premiata per avere guidato la Campagna internazionale che ha messo al bando quasi ovunque un’arma infame come le mine antipersona. Ma non riposa sugli allori. La prossima battaglia è quella con la Campagna contro i killer robots: lunedì sarà a Ginevra per la prima riunione presso le Nazioni unite del Ccw, il gruppo di esperti governativi della Convenzione sulle armi convenzionali. E non basta: «A nome delle sei donne Nobel per la pace lancio un appello ai parlamentari italiani perché correggano in fretta la legge rinviata alle Camere contro il finanziamento all’estero delle mine».
Cosa è cambiato da vent’anni a questa parte nelle campagne della società civile per il disarmo e la pace?
Non il modello. All’inizio non sapevamo come agire, solo negli ultimi due anni diventò chiaro che contava la collaborazione tra i governi, la Croce Rossa, le agenzie Onu. E allora la campagna è diventata enorme: da due Ong e uno staff di una persona - la sottoscritta - siamo arrivati a 1.300 Ong in 90 paesi. Ora contro i killer robot siamo 70 Ong. Dopo Ottawa e il Nobel, abbiamo dimostrato che le persone, io e te, possono fare la differenza.
Non tutti i paesi hanno sottoscritto la Convenzione contro le mine: macano Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele... Quanti le usano ancora?
Va detto che Obama ne ha vietato l’utilizzo ai soldati Usa, tranne che nella zona smilitarizzata tra le Coree. Ora naturalmente Trump non ha bisogno delle mine, la Corea del Nord la vuole distruggere col nucleare... Oggi 163 paesi fanno parte del trattato, una dozzina si riservano il diritto di produrle, ma credo solo due le fabbrichino. So che sono state usate in Siria. E in Birmania contro i Rohingya. Ma se pensiamo a quante guerre ci sono in giro per il mondo, prima del bando sarebbero state usate in tutti quei contesti. Avere stigmatizzato le mine è importante anche per il successo del trattato per la messa al bando delle armi nucleari. Se un’arma viene riconosciuta a livello internazionale come strumento illegale, è un passo avanti notevole. Certo, c’è ancora una tonnellata di lavoro da fare...
L’Italia non ha ancora firmato per la non proliferazione delle armi nucleari.
L’Italia fa parte della Nato, giusto? È questa la risposta. Gli Usa hanno obbligato tutti i paesi Nato a seguire la loro linea.
Ospitiamo una cinquantina di testate nucleari in due basi aeree, quella italiana di Ghedi e quella dell’US Air force ad Aviano. Disgustoso. So che paesi Nato avevano cercato di far rimuovere armi nucleari americane dal loro territorio, ma gli Usa non l’hanno accettato.
Torniamo alle mine. La legge approvata dal nostro Parlamento per vietare il finanziamento della produzione è stata rinviata alle Camere per un vizio formale. Per correggerla servono pochi giorni, ma i tempi sono stretti e c’è il rischio che decada.
So con sicurezza di poter parlare a nome di tutte noi sei donne Nobel per la pace: lanciamo un appello al Parlamento italiano, affinché i legislatori apportino presto le modifiche.
Ecco, c’è una sensibilità diversa delle donne a lottare per la pace? L’esistenza dell’Iniziativa delle donne Nobel per la pace dimostra che una differenza c’è. Il Nobel per la pace viene assegnato da 116 anni, 94 sono stati uomini, 17 donne. Da 12 anni noi donne Nobel lavoriamo insieme. Non mi risulta ci sia un’iniziativa di uomini Nobel per la pace. Le donne sono più disponibili a collaborare. Anche la Campagna contro i killer robot e la stessa Mary Wareham, la coordinatrice, sono stati candidati. Molti uomini premiati pensano che sia stata una realizzazione personale. Ma il mondo lo cambiamo solo se lavoriamo assieme, non esiste la persona che lo farà da sola. Ma molti uomini lo credono.